CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
Ricorso ex art. 3 L . 89/2001
La
Sig.ra ********** nata a ********** il ***********, e residente alla
via San Pasquizio di Mirandola n. 64, codice fiscale ************ , rappresentata
e difesa dall’avv. Gennaro De Natale, presso il cui studio elettivamente
domicilia in Salerno, alla Via Ogliara n. 36, in virtù di mandato a
margine del presente atto, il quale ultimo dichiara di
voler ricevere le
comunicazioni e notificazioni
del procedimento al n. di fax 089/________ o all’indirizzo di posta
certificata __________,
C O N T R O
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pt, domiciliato ex lege in Napoli (80134) alla via
Armando Diaz n. 11 presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli.
La ricorrente, a mezzo del sottoscritto
procuratore e difensore, chiede il risarcimento dei danni morali subiti per la
durata del processo instaurato innanzi al Tribunale di Salerno, iscritto al n.
RG ****, definito in I grado con sentenza n. ***, ed in II grado con
sentenza n. ****** della Corte d’Appello di Salerno.
FATTO
Con atto di citazione notificato in data
*******, il Sig. ********, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di
Salerno, ****** per sentirle condannare in via solidale
alla demolizione della costruzione eretta in Salerno, loc. *************, in
presunta violazione delle distanze legali prescritte dal regolamento edilizio
del Comune di Salerno in zona agricola, con condanna al risarcimento dei danni.
Si costituivano ritualmente le convenute, le quali impugnavano l’atto
introduttivo contestando integralmente le argomentazioni avverse e le
violazioni loro addebitate, adducendo il rispetto dei vincoli di legge e
chiedendo, pertanto, il rigetto della domanda attorea. Il giudizio veniva definito
in I grado con sentenza n. ***/05, ed in II grado con sentenza n. ***/2011 della
Corte d’Appello di Salerno.
D I R I T T O
1 Violazione del termine ragionevole di durata del procedimento e responsabilità del
Ministero della Giustizia.
Ai
sensi dell’art. 2, comma 2-bis, L. 89/01, la durata del suddetto processo
civile, incardinato nel mese di aprile 1985 e definito solo dopo 26 anni dal suo inizio, è abnorme
ed irragionevole. La ricorrente, pertanto, ha diritto ad ottenere l’equa
riparazione dei danni subiti, in quanto la durata del suddetto processo non
trova giustificazione né nella complessità della vertenza né nella condotta
delle parti.
Vi
è una responsabilità di tipo oggettivo del Ministero resistente, il quale ha
violato il termine ragionevole di durata del procedimento in esame. Per
attribuire tale forma di responsabilità al Ministero, non occorre provarne la
colpa ex art. 2043 cc, ma è sufficiente provare il dato oggettivo del tempo in
eccesso trascorso dall’inizio del procedimento.
Il
presupposto della responsabilità del Ministero della Giustizia risiede nella
violazione del termine di durata del procedimento, indicato nell’art. 2, comma
2-bis, L. 89/2001. Tuttavia, il temperamento attingibile dai suddetti criteri
non giustifica una radicale sterilizzazione del dato temporale. Infatti, anche
le cause complesse e quelle in cui le parti abbiano tenuto un comportamento
defatigatorio soggiacciono alla norma che ne impone la definizione in un tempo
ragionevole, in quanto, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, il
giudice deve fare fronte alla complessità del caso con un più risoluto ed
incisivo impegno, ed al comportamento defatigatorio delle parti con
l'attivazione dei rimedi all'uopo previsti dal codice di rito civile (Cass. n.
8600/2005; Cass. SS. UU., n. 1338 del 2004).
In
particolare, nel caso in esame, va precisato che:
A) a proposito dei rinvii che, nell’ambito del processo in esame, siano
stati chiesti dalle parti, è necessario evidenziare che, in tema di valutazione
della ragionevole durata del
processo, non tutto il lasso di tempo intercorso tra una udienza e l’altra può
essere imputato al comportamento della parte che abbia chiesto il rinvio,
dovendo il giudice adito in sede di equa riparazione verificare se l’entità del
rinvio sia ascrivibile anche a concorrenti cause dell’organizzazione
giudiziaria (Cass. 30/03/2005 n. 6713; Cass. 7/2/2004 n. 6856), come avvenuto
nella fattispecie in esame. In ogni caso, i rinvii chiesti dalle parti non
hanno certamente contribuito a rendere irragionevole
la durata del processo oggetto del presente giudizio;
B) Infine, va ascritta al sistema giudiziario nel suo complesso, la
concessione di rinvii con intervalli concreti anche cospicui; il tempo decorso
per rinvii d’ufficio e per gli aggiornamenti dell’udienza connessi allo
svolgimento di attività istruttorie; le pause dovute ad adempimenti referendari
ed elettorali; gli intervalli per scoperture dell’organico del personale negli
uffici; i periodi di ferie.
In
definitiva, nel caso in esame, il ritardo del procedimento può addebitarsi
all’apparato giudiziario. Infatti, a prescindere dalle esigenze dei rinvii di
causa, basti rilevare che l’art. 175 cpc impone al giudice istruttore di
esercitare tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del
procedimento, e l’art. 81 disp. att. Cpc stabilisce che i rinvii da una udienza
all’altra non dovrebbero superare i 15 gg., a meno che non vi siano delle
giustificate esigenze.
L’obbligo
assunto a livello internazionale dalla Repubblica Italiana con la
sottoscrizione e la ratifica della Convenzione impegna lo Stato unitariamente
considerato in tutti i suoi poteri ed in tutte le sue articolazioni
strutturali, sicché tutti devono, nei limiti delle loro attribuzioni,
concorrere all’adempimento di tale obbligo (Sent. CEDU 26/10/88, Martins
Moreira c/ Portogallo), con la conseguenza che lo Stato risponde non solo per
il comportamento negligente degli organi giudiziari, ma più in genere per il
fatto di non aver provveduto ad organizzare il proprio sistema giudiziario in
modo da consentirgli di soddisfare con ragionevole velocità la domanda di
giustizia (Sent. CEDU 10/12/92, Boddeart c/ Belgio).
2 Competenza territoriale.
La
competenza per territorio deve essere determinata con riguardo al giudice di merito dinanzi al quale il
procedimento è iniziato, che, nel caso in oggetto, è il Tribunale di
Salerno, Distretto di Corte di Appello di Salerno, con competenza, ex art. 3 L . 89/01 e art. 11 cpp, della
Corte d’Appello di Napoli (Cass. SS. UU., Ord. n. 6306 del 16/03/2010).
3 Termine e condizioni di proponibilità del
ricorso ai sensi dell’art. 4 L .
89/2001.
Ai
sensi degli artt. 133 e 327 cpc ed art. 1 L . 7/10/1969 n. 742, la decisione è divenuta definitiva in data 14/04/2012: infatti,
la sentenza n. ***/2011 della Corte d’Appello di Salerno è stata depositata il
28/02/2011.
Inoltre, l'art. 1 della legge 7 ottobre 1969,
n. 742, che prevede la sospensione dei
termini processuali in periodo feriale, si applica anche al termine di sei mesi
previsto dall'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 per la proposizione
della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del
processo. (Cass. 11/03/2009, n. 5895;
Cass. 29/10/2010 n. 22242).
Pertanto,
ai sensi dell’art. 4 L .
89/2001 e succ. mod., la presente
domanda di equa riparazione può essere proposta fino al 29/11/2012.
4 Conseguenze pregiudizievoli per la vittima con
peculiare riferimento alla natura della controversia. Il giudizio presupposto del presente ricorso ha ad
oggetto violazione delle distanze legali.
Tale
giudizio ha procurato notevoli danni alla ricorrente, sia sotto il profilo
economico che morale, con conseguenti notevoli patimenti, oltre agli
inevitabili e prolungati disagi causati al normale svolgimento della vita
familiare: la particolare natura della causa, infatti, ha comportato non solo
notevoli pregiudizi economici, ma soprattutto ansia e patema d’animo, derivanti
soprattutto dalla paura di perdere una considerevole parte dell’abitazione a
causa del pericolo di parziale abbattimento o arretramento della stessa. Il
danno morale indubbiamente sussiste, poiché non vi è dubbio che la lunga attesa
della definizione di un giudizio di notevole
rilevanza economica e riguardante un interesse di rilievo determini
nell’interessato stanchezza, sfiducia nella giustizia e più in generale nelle
istituzioni, senso di impotenza e quindi in definitiva uno stato d’animo
negativo, che è suscettibile di ristoro in termini di danno morale.
5 An
debeatur della domanda di equa riparazione. Il processo civile oggetto del presente giudizio,
non è stato conforme all’art. 6 par. 1 della CEDU, con specifico riferimento al
termine ragionevole di durata,
essendo stata minima l’attività istruttoria espletata e non essendovi stato
alcun comportamento dell’attrice, odierna ricorrente, che abbia potuto
ritardare il corso del processo.
Il
caso non era complesso: il giudice adito ha dovuto semplicemente ascoltare due
testi e verificare la relazione del CTU, attività per le quali non era
necessario il decorso di 26 anni.
Le
Sezioni Unite della Suprema Corte, conformemente ai principi elaborati in
materia dalla Corte di Strasburgo, hanno precisato che, allorquando venga
accertata la violazione del termine ragionevole di durata del procedimento, il
danno non patrimoniale deve presumersi esistente, a meno che, per la
particolarità della fattispecie, possa rivelarsi inesistente.
Inoltre,
codesta Ecc.ma Corte ha ritenuto che è indubbio che la lunga attesa della
definizione di un qualsiasi giudizio determini nel cittadino stanchezza, sfiducia
nella giustizia e più in genere nelle istituzioni, senso di impotenza e,
quindi, in definitiva uno stato d'animo negativo suscettibile di ristoro in
termini di danno morale ai sensi del disposto di cui all'art. 2 comma 1 della
l. n. 89 del 2001, da liquidarsi in via equitativa (Corte appello
Napoli, 13 dicembre 2001).
In
buona sostanza, una volta accertata la violazione deve, di regola, considerarsi
"in re ipsa" la prova del relativo pregiudizio, nel senso che detta
violazione comporta nella normalità dei casi anche la prova che essa ha
prodotto conseguenze non patrimoniali in danno della parte processuale (Cass.
16/2/2005 n. 3118).
Pertanto,
nel caso in esame, il danno non patrimoniale non può essere negato alla odierna
ricorrente che ha visto violato il proprio diritto alla durata ragionevole del
processo. Tanto anche perché l’equa riparazione riconosciuta dalla legge
89/2001 è un diritto non al risarcimento del danno, ma un indennizzo: di
conseguenza, rimane irrilevante ogni eventuale riferimento all’elemento
soggettivo della responsabilità (Cass. Sez. Un. 27/11/2003-26/01/2004 n. 1339).
Inoltre,
ai fini del riconoscimento del diritto all’equa riparazione, il ricorrente non
deve provare il danno morale, trattandosi di conseguenze che normalmente si verificano
secondo l’id quod plerumque accidit (Cass.
29/03-11/05/2004 n. 8896):
una volta
accertata la sussistenza della violazione del termine di ragionevole durata del
processo, la parte che assume di aver subito un danno non patrimoniale in
conseguenza della eccessiva durata del processo, non è tenuta a fornire
specifica prova dello stesso, atteso che, secondo la CEDU, il danno non
patrimoniale (da identificarsi col patema d’animo, con l’ansia, con la
sofferenza morale causate dall’esorbitante attesa della decisione), a
differenza del danno patrimoniale, si verifica normalmente, e cioè di
regola per effetto della violazione della durata ragionevole del processo, per
cui deve ritenersi presente secondo l’id quod plerumque accidit senza bisogno
di alcun sostegno probatorio (Cass. 12/08/2005 n. 16885).
In
definitiva, il riconoscimento del processo come causa di ansia, di stress e di
dispendio di tempo ed energie suscettibile di dar luogo al risarcimento delle
parti che lo abbiano irragionevolmente subito è da ritenere principio d’ordine
costituzionale immediatamente precettivo (Ved. Cass. Sez. Un. 23/12/2005 n.
28507).
6 Determinazione del quantum della domanda per l’equa riparazione.
La
ricorrente, richiamati i parametri
stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
nonché dall’art. 2-bis L. 89/01, chiede a titolo di equa riparazione un risarcimento per danno morale (non patrimoniale) nella misura che codesta Ecc.ma Corte di
Appello riterrà equa e giusta.
Per
tutto quanto sopra esposto, si chiede che l'Ecc.ma Corte, respinta ogni
contraria domanda, eccezione e deduzione, voglia accogliere le seguenti
C O N C L U S I O N I
1) Accertare e dichiarare la violazione, da parte del Ministero della
Giustizia convenuto, dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo e dell’art. 2, comma 2-bis della Legge 89/01, e, conseguentemente,
accertare e dichiarare il diritto dell’odierna ricorrente ad ottenere un’equa
riparazione secondo quanto stabilito dall’art. 2-bis della L. 89/2001;
2) Per l’effetto, condannare il Ministero della Giustizia, in persona del
Ministro pt, al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla
ricorrente, nella misura che codesta Ecc.ma Corte di Appello riterrà equa e
giusta;
3) Condannare il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pt,
al pagamento delle spese e competenze
del presente giudizio, con attribuzione
al sottoscritto procuratore anticipante.
La ricorrente, ai sensi dell’art. 3, comma 3, L . 89/01, allega copia
autentica degli atti processuali di primo e secondo grado.
Napoli,
27 Novembre 2012
Avv. Gennaro De Natale
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