TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE XIII CIVILE
riunito in camera di consiglio e
così composto:
dott.ssa Franca Mangano Presidente
dott. Maurizio Maselli Giudice Rel.
dott.ssa Annalisa Chiarenza Giudice
a scioglimento
della riserva di cui a verbale in data 1/4/2011 in ordine al preliminare
giudizio di ammissibilità dell’azione avviata ex art. 140 bis D. LGS. 206/05 da
Codacons in proprio e nella qualità di mandataria di ************* nei
confronti della B.A.T. Italia SpA
Osserva
Parte attrice ha
instaurato la presente controversia al fine di sentir accertare la
responsabilità della convenuta per aver esercitato un’attività pericolosa,
quella della produzione e della vendita di sigarette, senza adottare tutte le
misure idonee ad evitare conseguenze pregiudizievoli (art. 2050 cc) a carico
dei proponenti ed aver quindi causato agli stessi danni non patrimoniali
consistenti nella dipendenza da nicotina, quale patologia del sistema nervoso,
nonché nel timore concreto di ammalarsi di altre patologie correlate al fumo (art.
2059 cc) e danni patrimoniali consistenti nella spesa utile per l’acquisto
quotidiano di sigarette indotto dalla dipendenza.
La convenuta ha
preliminarmente dedotto l’inammissibilità dell’azione di classe per essere i
fatti allegati anteriori al 15.08.2009, per carenza di legittimazione attiva
della parte istante e per difetto di identità dei diritti individuali
tutelabili.
Quanto al primo
profilo, va osservato che il testo dell’art. 49, comma 2°, della legge
23.07.2009 n. 99 chiarisce che le disposizioni dell’art. 140 bis del codice del
consumo si applicano agli illeciti
compiuti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge;
di conseguenza l’azione di classe può essere intentata soltanto con riguardo
agli illeciti compiuti successivamente al 15.08.2009 (la legge anzidetta è
stata infatti pubblicata sulla G. U. del 31.07.09 n. 176).
Tale circostanza
non esclude peraltro l’ammissibilità dell’azione proposta dal Codacons, atteso
che i comportamenti commissivi ed omissivi imputati alla convenuta, ancorché
abbiano avuto inizio nel periodo pregresso, in concomitanza con l’assunzione
del fumo da parte di ciascuno degli istanti, sono proseguiti in epoca
successiva al 15.08.09 quale illecito permanente, e lo stato di dipendenza di
costoro dalla nicotina ha subito un grado elevato di continuità nella forma di
patologia cronica.
Quanto alla
seconda eccezione va rilevato che l’art. 140 del Codice del Consumo stabilisce
una legittimazione delle associazioni dei consumatori ed utenti a tutela di
interessi collettivi per la richiesta di inibitoria dei comportamenti lesivi,
per l’adozione di misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi
delle violazioni accertate anche mediante la pubblicazione del provvedimento.
Si tratta in
questo ultimo caso di misure riparatorie a rilievo generale destinate ad
incidere sulle posizioni di una pluralità indiscriminata di soggetti unita
dalla qualifica di consumatori.
Le istanze
risarcitorie per equivalente degli asseriti danni personali non patrimoniali
nella descritta accezione di danno biologico, esistenziale, morale e
patrimoniale, anche riflesso, promosse dalla associazione attrice vanno
rigettate, per tali contenuti non risultando applicabile la richiamata
normativa né potendosi ipotizzare, al di fuori di ogni previsione di legge,
sostituzione alcuna della prima nell’esercizio del diritto del singolo
danneggiato (art. 81 cpc).
Ed invero, nel
caso di specie la pronuncia all’esito del giudizio sull’azione di classe non
può prescindere dall’accertamento di tutti gli elementi delle fattispecie
risarcitorie o restitutorie, compresa la sussistenza o l’interruzione del nesso
di causalità giuridica, come tale incompatibile con la tutela cumulativa dei
diritti individuali dei consumatori, superando le questioni individuali da
accertare le eventuali questioni comuni e impedendo le caratteristiche dei
diritti azionati una liquidazione dei danni omogenea ed unitaria per tutte le
pretese azionate.
Va quindi
affermato il difetto di legittimazione attiva del Codacons quale portatore di
interessi propri.
A diversa
conclusione è lecito pervenire in ordine a ciascun componente della classe,
potendo questi agire per il tramite delle associazioni cui dà mandato o di
comitati cui partecipa, secondo il meccanismo della rappresentanza processuale
(art. 140 bis, comma 1, codice consumo).
In tale
evenienza, la citata disposizione non crea nuovi diritti, ma disciplina
soltanto un nuovo mezzo di tutela, l’azione di classe, che si aggiunge alle
azioni individuali già spettanti ai singoli consumatori o utenti.
In sede di
ammissione il Tribunale è chiamato a valutare la proponibilità della domanda ai
sensi del comma 6 dell’art. 140 bis sotto il profilo della omogeneità dei
diritti individuali dei consumatori ed utenti e la legittimazione dell’utente
si pone in termini di coincidenza del suo interesse con quello della classe,
essendo egli portatore del medesimo diritto individuale omogeneo di cui sono
titolai gli appartenenti alla classe.
All’uopo
rilevano tre circostanze:
- la domanda non
deve apparire manifestamente infondata nel merito;
- non sussistono
conflitti di interessi;
- sussiste un
interesse collettivo meritevole di tutela.
L’esito negativo
di una soltanto di queste tre verifiche rende inammissibile l’azione
collettiva. E’ opportuno quindi esaminare più in dettaglio i tre requisiti di
ammissibilità della domanda.
1) Il vaglio della non manifesta
infondatezza.
Il giudizio di
manifesta infondatezza nel merito della domanda come proposta non deve essere
confuso con una anticipazione della sentenza, nè come una preistruttoria: come
in tutti i casi in cui la legge richiede un giudizio di non manifesta infondatezza, sarà sufficiente accertare il fumus della pretesa attorea.
Poiché il
relativo accertamento deve essere compiuto in
limine litis, e quindi in una fase in cui le parti non hanno ancora
consumato il potere di produrre documenti e chiedere mezzi di prova (ai sensi
dell’art. 183, comma 6, cpc), il giudizio sulla non manifesta infondatezza
riguarderà di norma la prospettazione in diritto posta a fondamento della
pretesa, non la veridicità dei fatti costitutivi di essa, a meno che
quest’ultima non sia di per sé ragionevolmente esclusa dalle prove allegate
agli atti introduttivi del giudizio.
Orbene, sotto
tale profilo va rilevato che inequivocabilmente qualsiasi fumatore è pienamente
consapevole sia dei rischi per la salute indotti dal fumo, sia dalla dipendenza
da questo creata.
E’ lo stesso
comportamento del fumatore sufficiente, in via esclusiva, a determinare
l’evento e ciò alla luce delle regole generali in tema di nesso di causalità
poste dall’art. 41, comma2, del codice penale, applicabili anche al diritto
civile.
Pertanto, tra la
produzione e distribuzione delle sigarette e l’evento dannoso si inserisce un
fattore assolutamente determinante costituito dal comportamento dello stesso
danneggiato, rispetto al quale la vendita del prodotto, pur costituendo un
antecedente oggettivamente ricollegabile all’evento, è comunque privo del
necessario nesso di causalità immediata e diretta.
Inoltre va
escluso, sulla base degli studi e delle conoscenze scientifiche ormai
consolidate, che la dipendenza da nicotina determini l’annullamento o la seria
compromissione della volontà del fumatore nella forma di costrizione al
consumo, tale da inibirgli in modo assoluto qualsiasi facoltà di scelta tra la
continuazione del fumo e l’interruzione dello stesso.
La mera
difficoltà di smettere di fumare appare, quindi, affatto irrilevante, non
potendosi sostenere che il consumatore pienamente informato dei pericoli per la
propria salute indotti dal fumo delle sigarette sia nella impossibilità di
effettuare una scelta libera e consapevole, ancor più quando sia sorretto da
sufficiente motivazione.
Né gli effetti
farmacologici della nicotina, alla luce delle ricerche e dei risultati medici e
scientifici, sono paragonabili alle droghe pesanti quali l’eroina o la cocaina
e di tale influenza sulla volontà del fumatore da renderlo affatto incapace di
smettere di fumare.
Ciò è tanto vero,
che le statistiche e i rapporti in materia evidenziano una progressiva
riduzione del numero dei fumatori, in special modo tra gli uomini con una
diminuzione di oltre la metà nel periodo compreso tra l’anno 1957 ( il 65%
degli uomini era fumatore abituale) e l’anno 2008 (soltanto il 26,4%).
Alla luce delle
pregresse considerazioni appaiono del tutto prive di consistenza le
argomentazioni del Codacons concernenti: 1) l’insufficienza delle misure di
carattere informativo circa la dipendenza da nicotina come su altri rischi del
fumo da tabacco (tumori, cardiopatie); 2) l’eliminazione dalle sigarette della
nicotina quale misura efficace alla eliminazione degli effetti da dipendenza;
3) l’incremento da parte delle ditte produttrici della dipendenza dei fumatori
dalla nicotina mediante l’aggiunta al tabacco di alcuni additivi (ammoniaca,
liquirizia, cacao).
Quanto alla
prima asserzione, basterà rilevare che tutti i pacchetti di sigarette recano
chiari avvertimenti – il fumo uccide, il fumo crea una elevata dipendenza, il
fumo può creare impotenza, ecc. – idonei a rappresentare al fumatore, già a
conoscenza dei rischi che il fumo comporta e della difficoltà di smettere di
fumare in quanto noti alla società sin dagli anni ’30 a seguito della
diffusione di tali notizie mediante mezzi di comunicazione di massa e di
divulgazione di conoscenze scientifiche, la potenzialità dannosa dell’uso delle
sigarette.
Quanto alla
seconda, va osservato che i livelli di nicotina delle sigarette sono
individuati dalla legge (D. Lgs. 24.6.2003 n. 184) sulla base dei limiti
massimi misurati meccanicamente ed autorizzati dalla direttiva europea
2001/37/CE in materia di prodotti di tabacco e che le sigarette in commercio
hanno un contenuto di nicotina che varia da un minimo di 0,1 mg ad un massimo
di 1 mg e in tale fascia il consumatore può liberamente scegliere il prodotto
più idoneo alle proprie aspettative od esigenze.
L’eliminazione
della nicotina dalle sigarette – suggerita dal Codacons quale misura efficace
ad eliminare la dipendenza del fumatore – è da un lato irragionevole in quanto
volta ad attuare una regolamentazione dell’attività di produzione sostitutiva
di quella dello Stato e dall’altro incongruente, in quanto diretta ad attuare
l’alterazione delle caratteristiche del prodotto legislativamente definite e lo
snaturamento dello stesso.
Inoltre, la
eliminazione della nicotina non costituirebbe una misura appropriata, sia per i
riflessi sui consumatori che, non ritenendo il prodotto soddisfacente, si
rivolgerebbero al mercato del contrabbando, sia perché il fumo rappresenta un
comportamento multifattoriale, non dovuto esclusivamente alla nicotina, ma
sostenuto da altri fattori psicologici (vedi sul punto relazione della dott.
********** doc. 17 di parte convenuta e relazione del ******* prodotta
dall’attrice).
Quanto alla
terza argomentazione, va rilevato che l’art. 7 del D. Lgs. n. 184/2003 impone
ai fabbricanti di prodotti del tabacco di fornire annualmente al Ministero
della Salute e al Ministero dell’Economia e delle Finanze l’elenco degli
ingredienti utilizzati con le relative quantità, dati tossicologici,
specificandone altresì la funzione e gli effetti sulla salute, ivi inclusi
eventuali effetti di dipendenza.
In tale quadro,
l’utilizzo di additivi risulta normativamente legittimo; in ogni caso, non
sussiste, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, alcuna prova che
l’eventuale utilizzo di sostanze additive determini uno stato di dipendenza o
renda più difficile il distacco dal fumo.
Del resto,
l’utilizzazione degli additivi trova ragion d’essere nell’intento di attribuire
al prodotto un sapore specifico e tipizzato, come tale indispensabile perché la
casa produttrice sia competitiva sul mercato in presenza di ampia varietà di
marche disponibili e perché il fumatore riconosca nel prodotto utilizzato il
gusto che individua quella marca di sigarette, di identità e caratteristiche
costanti e ripetitive.
In altri termini
detti additivi, della più varia natura, riducono la durezza del fumo, la
secchezza della bocca e della gola, donando una sfumatura particolare (anche
dolce) al fumo, ma non hanno effetti assuefacenti né esplicano alcuna influenza
ai fini dell’esaltazione del rapporto di dipendenza del fumatore dalla
nicotina.
2) Il vaglio del conflitto di interessi.
Meno agevole è
stabilire cosa abbia inteso il legislatore con la formula relativa all’assenza
di conflitto di interessi.
Il primo
problema posto dalla norma è quello di stabilire tra chi debba sussistere
conflitto, al fine di escludere l’ammissibilità della domanda.
Nel silenzio
della legge, devono ritenersi ammesse tutte le possibilità, è quindi
l’inammissibilità della domanda quando il conflitto sussista:
(a) tra l’attore
in senso sostanziale ed il suo avvocato (ad es., l’associazione attrice ha
conferito mandato ad un avvocato che stia presiedendo il collegio arbitrale
costituito ai sensi dell’art. 140 bis, comma 6, d. lg. 206/05, o per stabilire
il quantum debeatur in una azione collettiva di analogo contenuto);
(b) tra l’ente
rappresentativo dei consumatori e questi ultimi (ad es., promovimento di azione
collettiva nei confronti dell’emittente di strumenti finanziari rivelatisi
rovinosi, con conseguente impossibilità per il consumatore di prendere parte ad
un vantaggioso arbitrato internazionale);
(c) tra due o
più dei consumatori, ovvero due o più gruppi di consumatori aderenti
all’iniziativa (ad es., adesione all’azione collettiva proposta nei confronti
di una società immobiliare, che abbia alienato più volte la medesima quota di
multiproprietà turistica, dei soggetti che hanno acquistato diritti di identico
contenuto, e perciò tra loro incompatibili).
Nella
controversia in esame non è identificabile alcun conflitto di tale natura.
3) Il vaglio della sussistenza
dell’interesse collettivo.
Della nozione di interesse collettivo, e della
sua natura di presupposto della domanda si è già detto. Ci si può dunque in
questa sede limitare a sottolineare come proprio la previsione
dell’inammissibilità della domanda nel caso di insussistenza dell’interesse collettivo
dimostra come non basti l’allegazione di un danno, anche risarcibile, in capo
ad uno o più consumatori perché possa essere proposta una azione collettiva, ma
è necessaria la sussistenza di quel quid
pluris rappresentato giustappunto dall’interesse generale di categoria o di
gruppo.
In particolare,
va rilevato che l’art. 140 bis, 2° comma, de Codice del Consumo legittima
l’azione di classe a tutela di identici diritti spettanti ai consumatori finali
di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a
prescindere da un diretto rapporto contrattuale.
L’ammissibilità
di detta azione si fonda sui principi dell’interesse ad agire, della economia
processuale e della effettività della tutela.
Al fine della
qualificazione dell’identità dei diritti individuali tutelabili mediante il
ricorso a detta azione sono richieste due condizioni: a) che si tratti di
diritti che hanno la stessa origine, ovvero nascono da un fatto costitutivo
identico; b) che si tratti di diritti il cui accertamento e la cui tutela
involgano le stesse questioni di fatto e di diritto.
Quindi, la
tutela cumulativa può avvenire soltanto in quei casi in cui, per le
caratteristiche della fattispecie sostanziale, la decisione del giudice si può
basare esclusivamente su valutazioni di tipo comune, essendo del tutto
inesistenti o marginali i temi personali; non già nell’ipotesi in cui le
questioni individuali da accertare – accertamento che si pone in termini di
presupposto logico giuridico della condanna – superino le eventuali questioni
comuni a ciascun consumatore, e le caratteristiche dei diritti azionati
impediscano una liquidazione dei danni omogenea ed unitaria per tutte le
pretese potenzialmente azionabili.
Questo in quanto
l’azione di classe non ha ad oggetto l’interesse collettivo dei consumatori, ma
i diritti individuali di costoro al risarcimento dei danni e alle restituzioni,
così come chiaramente espresso dal comma 12° della disposizione in esame, per
la quale se accoglie la domanda, il
Tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida, ai sensi dell’art.
1226 cc, le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione.
In tale
evenienza, la pronuncia resa all’esito del giudizio non può prescindere
dall’accertamento di tutti gli elementi delle fattispecie risarcitorie o
restitutorie, ivi compresa la sussistenza o l’interruzione del nesso eziologico
e la valutazione del danno risarcibile.
Ciò chiarito, va
osservato che con la domanda oggetto di esame l’attore intende ottenere tutela
per una serie estremamente ampia di situazioni tra loro diverse, come
documentato dalle tre distinte storie dei fumatori rappresentati dal Codacons,
le cui posizioni risultano diversificate, eterogenee e non sussumibili nel
medesimo procedimento – aperto all’adesione di tutti gli altri soggetti
interessati -, avuto riguardo agli specifici aspetti della sfera
comportamentale, psicologica e sociale, riferibile a ciascun consumatore come
unica, personale e assolutamente individuale.
In tale
contesto, invero, la ricostruzione della storia di ciascun fumatore comporta la
disamina di molteplici aspetti e momenti della sua vita – quali l’inizio e le
ragioni dell’adesione al fumo, il numero e la marca delle sigarette
quotidianamente assunte, lo stato di dipendenza dalla nicotina, la incapacità o
la scelta di non smettere di fumare, le conseguenze sulle condizioni di vita di
ognuno di essi indotte dal timore di contrarre malattie- come tali non
inquadrabili nell’ambito di un accertamento avente ad oggetto diritti
individuali assolutamente identici, stante la peculiarità e tipicità della
posizione di ogni consumatore.
Siffatta
eterogeneità di situazioni impedisce la trattazione congiunta delle vicende
riferibili ad ogni singolo consumatore e rende quindi non praticabile la via dell’azione
di classe per insussistenza di identità dei diritti individuali di cui si
chiede la tutela.
Sussistono
giusti motivi, avuto riguardo alla novità ed alla complessità delle questioni
oggetto di lite, per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese
di lite.
PQM
Il Tribunale
dichiara inammissibili le domande proposte dal Codacons ai sensi dell’art. 140
bis codice consumo nei confronti della B.A.T. Italia SpA con atto di citazione
notificato il 31/5/10;
dichiara
integralmente compensate tra le parti le spese processuali; ordina la
pubblicazione della presente ordinanza, a spese dell’attore, per estratto e per
una volta, sul quotidiano Il Corriere
della Sera.
Così deciso in
Roma nella camera di consiglio della XIII sezione civile, addì 1/7/2011.
Il giudice est. Il
presidente
Nessun commento:
Posta un commento