LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE – I
Composta dagli Ill.mi Magistrati
Dott. Giuseppe Salmì Presidente
Dott. Luigi Macione Consigliere
Dott. Renato Bernabai Consigliere
Dott. Massimo Dogliotti Consigliere
Dott. Pietro Campanile Rel.
Consigliere
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sul ricorso 19936 – 2010 proposto da:
E S (CF****), elettivamente
domiciliato in Roma, presso la corte di Cassazione, rappresentato e difeso
dall’avv. *****, giusto mandato a margine del ricorso;
ricorrente
contro
C ; G;
intimata
avverso la
sentenza n. 2017/05/2010;
udita la
relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/03/2012 dal
Consigliere relatore Dott. Pietro Campanile.
È presente il
Procuratore generale in persona del Dott. Federico Sorrentino.
Ritenuto in fatto e in diritto
Il Consigliere
delegato ha depositato la seguente relazione ai
sensi dell’art. 380 bis cpc.
“Con sentenza
depositata in data 5/03/2009 il tribunale di Napoli che aveva già pronunciato
la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in data 01/07/1989
da E S e C G disponeva l’affidamento congiunto della figlia minore,
collocata in prevalenza presso la madre, ponendo a carico del padre, a titolo
di contributo per mantenimento della stessa, nonché dell’altro figlio della
coppia, maggiorenne e convivente con la C, cui veniva
assegnata la casa coniugale, un assegno di € 950,00 , da rivalutarsi
annualmente.
Veniva altresì
rigettata la domanda della predetta di un assegno a titolo di contributo per
proprio matrimonio, per non aver dimostrato la propria impossibilità di
procurarsi redditi adeguati.
La corte
d’Appello di Napoli, con la pronuncia oggetto di scrutinio, in riforma
dell’impugnata decisione, considerata l’età della C, la sua dedizione
alla casa e all’accudimento della prole e, quindi, le difficoltà, soggettive ed
oggettive, per procurarsi un lavoro confacente alle proprie capacità,
nonostante l’iscrizione nelle liste del collocamento ed i propri sforzi, che le avevano soltanto consentito, in passato, di ottenere dei modesti introiti per
incarichi saltuari,valutata altresì la preminente posizione economica dell’e, ufficiale
dell’Esercito Italiano in congedo, condannava costui al pagamento, con
decorrenza dalla domanda, di assegno divorzile, rivalutabile annualmente, pari
ad € 250,00, rigettando l’appello incidentale proposto dallo stesso E .
Avverso tale
decisione l’E propone ricorso in Camera di Consiglio, imponendosene il
rigetto in considerazione della manifesta infondatezza.
Invero il primo
motivo, con il quale viene denunciata violazione dell’art. 5 della L. n. 898
del 1970, nonché vizio di motivazione, è inammissibile nella misura in cui
contiene alcuna specifica impugnazione, nè con riferimento al principio di
diritto asseritamente violato, nè con riferimento a quei passaggi della
motivazione dai quali dovrebbe desumersi l’attribuzione dell’assegno divorzile “
come effetto del mero scioglimento del matrimonio”.
La corte
territoriale, come verrà meglio appresso evidenziato, ha fornito una congrua
motivazione in merito alle ragione della decisione, verificando la sussistenza
di tutti i presupposti per l’attribuzione dell’assegno, e procedendo alla sua
quantificazione in maniera corretta.
Con il secondo
motivo si denuncia, sotto diversi profili, la violazione degli artic. 5 della L.
n. 898 del 1970, come successivamente modificata, nonché dell’art. 2697 cc,
soprattutto con riferimento all’omessa comparizione fra il tenore di vita
tenuto in costanza di matrimonio e quello consentito dalle condizioni attuali,
nonché all’impossibilità, per la C, di reperire
attività lavorativa.
Il motivo è in
parte inammissibile, laddove ripropone in questa sede valutazioni
riservate al giudice del merito, ed in
parte infondato.
Sotto
quest’ultimo profilo, deve rilevarsi, da un lato, come nella sentenza
impugnata, sia stato implicitamente quanto adeguatamente valutato il tenore di vita in costanza di convivenza,
sia con riferimento alla posizione economica
e sociale del marito, ufficiale dell’esercito, a fronte dell’attività di
casalinga svolta dalla moglie (cfr. Cass. 12/07 n. 15610, secondo cui correttamente il tenore di vita precedente
viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare
complessivo dei loro redditi ed alle disponibilità patrimoniali), sia in
relazione all’assetto economico vigente all’atto della pregressa separazione
personale, che la Corte territoriale ha correttamente considerato, costituendo
un elemento utile di valutazione, che è
suscettibile di essere apprezzato in favore della parte richiedente l’assegno,
per il principio di acquisizione presente nel vigente ordinamento processuale,
anche in assenza della prova da parte del richiedente della sussistenza delle
condizioni richieste dalla legge per l’attribuzione dell’assegno in questione
(Cass. 27/07/2005 n. 15728).
Nella sentenza
impugnata, poi, risulta correttamente applicato il principio secondo cui il
giudice, chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, è
tenuto a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione
all’inadeguatezza – all’atto della decisione - dei mezzi o all’impossibilità di
procurarsi per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a
quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi
su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del
divorzio,.
La nozione di
adeguatezza, che postula un esame comparativo della situazione reddituale e
patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della
cessazione della convivenza, impone di tener conto dei miglioramenti della
condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della
convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività
svolta durante il matrimonio (Cass. 4 /10/2010, n. 20582).
Quanto
all’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati, richiamato il principio secondo
cui all’accertamento della capacità lavorativa del coniuge richiedente va
compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell’astrattezza, bensì in quella
dell’effettività e della concretezza, dovendosi, all’uopo, tenere conto di
tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi del caso di specie in rapporto ad
ogni fattore economico – sociale, individuale, ambientale, territoriale ( Cass.
16/07/2004, n. 13169), va rilevato che la Corte territoriale ha adeguatamente
evidenziato, con motivazione in esame da censure in questa sede, come, avuto
riguardo all’iscrizione nelle liste di collocamento, alla pregressa dedizione
alla famiglia ed all’educazione dei figli, all’accettazione in passato di
attività anche precarie confacenti alle proprie attitudini di impiegata di
concetto, all’età ormai non più giovane (46 anni), in un mercato del lavoro
quanto mai difficile, soprattutto nella località in cui la C risiede, la stessa non sia in grado, per ragioni
obiettive e, comunque, a lei non imputabili, di svolgere adeguata attività
lavorativa (cfr, in motivazione, Cass. 28/03/2003, n. 4736; Cass. 16 giugno
2004, n. 23378; Cass. 12 luglio 2007, n. 15610; Cass. 29 novembre 2007 n.
24938).
Del pari
infondato, ed in buona parte inammissibile, è il terzo motivo, con il quale si
propongono quasi esclusivamente questioni attinenti al merito, in relazione
alla decorrenza dell’assegno, i cui effetti sono stati fatti risalire nella
decisione impugnata alla data della domanda. Tale statuizione, che in base
all’attuale formulazione dell’art. 4 della L. n. 898 del 1970, comma 13,
costituisce un potere discrezionale del giudice (Cass. 24 gennaio 2011, n.
1613), risulta sorretta da un idoneo apparato argomentativo, consistente nella
constatazione dell’accertata sussistenza dello squilibrio delle posizioni
reddituali sin da tale momento.
Il quarto
motivo, con il quale si ripropone la domanda, già avanzata con appello
incidentale, di contenere, in caso di riconoscimento di assegno in favore della
moglie, nei limiti della somma già determinata dal tribunale per il
mantenimento dei figli, da un lato propone inammissibilmente una sorte di
compensazione fra situazioni soggettivi parimenti ed autonomamente meritevoli
di tutela, dall’altro impinge contro le puntuali argomentazioni, contenute
nella decisione impugnata e non censurabili in questa sede, circa la
compatibilità complessiva degli oneri posti a carico dell’E, con la sua posizione reddituale.
Il quinto motivo
in parte ripropone le questioni inerenti all’applicazione del principio di
adeguatezza, correttamente applicato come già rilevato, dalla corte
territoriale, dall’altro si duole della sovrapposizione dell’assegno di
divorzio con quello di separazione, senza considerare che il secondo subentra
de iure al primo e che le somme versate medio tempore dovrà tenersi conto in
executivis.
Quanto al sesto
motivo, costituisce una sorte di riepilogo delle doglianze già esplicate ,
riproposte in relazione alla violazione dell’art. 2697 c.c., valgano le
superiori considerazioni.
Il Collegio condivide al relazione, ritualmente
comunicata al P.G. e notificata alla parte costituita.
Tali conclusioni
non mutano all’esito dell’esame della memoria presentata nell’interesse del
ricorrente, nella quale vengono in sostanza riproposte questioni, attinenti al
merito, essenzialmente già valutate nella relazione. Quanto alle osservazioni
inerenti alla retroattività dell’assegno, vengono poste delle questioni
riservate esclusivamente alla fase esecutiva, per altro di facile soluzione
alla luce dell’effetto sostitutivo della decisione di appello rispetto a quella
di primo grado.
Il ricorso,
quindi, deve essere rigettato, senza alcuna statuizione in merito alle spese
processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il
ricorso.
Così deciso in
Roma, nella Camera di Consiglio della
Sesta Sezione Civile – lì 29 marzo 2012.
Il Presidente
Giuseppe Salmè
Nessun commento:
Posta un commento