REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli
Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROBERTO
MICHELE TROIOLA PRESIDENTE
Dott. LAURENZA
NUZZO CONSIGLIERE
Dott. LINA
MATERA REL.
CONSIGLIERE
Dott. CESARE
ANTONIO PROTO CONSIGLIERE
Dott. ANTONIO
SCALISI CONSIGLIERE
SENTENZA
Sul ricorso
27438/2006 proposto da condominio Via **** Napoli , in persona
dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, *****,
presso lo studio dell’avv. ****, rappresentato e difeso dall’avv. ***
Ricorrente
Contro
S A cf ***,
elettivamente domiciliato in Via ****, presso lo studio dell’avv. ***,
rappresentato e difeso dall’avv. ****
Contro
ricorrente
Avverso la
sentenza n. 2266/2005 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il
11/07/2005;
udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/2012 dal
Consigliere Dott. Lina Matera;
udito il P.M. in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pierfelice Pratis che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti atti di citazione del 28/5/1997 e
12/1/1998 S A impugnava le deliberazioni adottate dall’assemblea del Condominio
in Napoli Via **** nelle sedute del 29/4/1997 e del 27/11/1997, con le quali
era stata rispettivamente deliberata l’installazione dell’ascensore ed
approvato il relativo progetto, nonché approvato il progetto esecutivo con il
relativo appalto, per una spesa di £. 85.000.000.
L’attore
assumeva la nullità di entrambe le delibere, rilevando che la parziale
occupazione del primo cortile mediante l’impianto di ascensore violava il
godimento dei singoli condomin sul medesimo
cortile e sulla guardiola, ledeva il decorso architettonico dello stabile
ed arrecava grave pregiudizio alla propria unità immobiliare, sottraendole aria
e luce, violando le distanze, compromettendone la stabilità e la sicurezza.
Deduceva,
inoltre, la mancanza del quorum richiesto dalla legge.
Nel costituirsi,
il condomini contestava la fondatezza delle domande attrici e en chiedeva il
rigetto.
A seguito della riunione dei due giudizi, con
sent. del 21/4/2010 il tribunale di Napoli rigettava entrambe le domande.
Avverso la
predetta decisione proponeva Appello lo S.
Con sentenza
depositata in data 11/7/2005 la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento del
gravame, dichiarava la nullità delle delibere impugnate, rilevando che
l’installazione dell’ascensore nel primo cortile, proprio a ridosso della
finestra dell’attore, aveva comportato una grave lesione del diritto dominicale
esclusivo dello S e un sensibile deprezzamento della sua unità abitativa.
Per la
cassazione di tale sent. ricorre il Condominio, sulla base di due motivi.
Lo S. resiste
con controricorso.
MOTIVO DELLA DECISIONE
1) Con il primo
motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artic.
1120, 1136 e 1137 cc, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto controverso e
l’omesso esame di documentazione decisiva.
Sostiene che
l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il Condominio
non avrebbe dimostrato l’impossibilità di installare l’ascensore nel secondo
cortile, risulta smentita per tabulas dai rilievi fotografici prodotti dal
convenuto, del tutto ignorati dalla Corte d’Appello, nonché dalla relazione di
consulenza tecnica d’ufficio, nella quale il CTU ha evidenziato l’impossibilità
di posizionare l’impianto di ascensore nel secondo cortile. Aggiunge che lo
stesso consulente ha negato l’esistenza
di rumori particolari connessi al funzionamento ed all’uso
dell’ascensore, e che, quanto alla luminosità, la Corte d’Appello non ha tenuto
conto delle foto scattate all’interno dell’ascensore.
Il motivo è
infondato.
Le censure mosse
nella prima parte investono un’argomentazione del giudice del gravame che non
assume alcuna incidenza ai fini della decisione, la quale, a prescindere dal
rilievo secondo cui il Condominio non aveva’neppure esaurientemente motivato
sulla indispensabilità dell’impianto sul primo anziché sul secondo cortile’, risulta
basata sull’acclarata compromissione del diritto dominicale dell’attore sul
proprio appartamento, derivante dalla installazione dell’impianto di ascensore.
Orbene,
costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui è
inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri una
argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e che, pertanto,
non costituisce una ratio decidendi della medesima. Una affermazione, infatti,
contenuta nella motivazione della sent. di appello, che non abbia spiegato
alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti
giuridici, non può essere oggetto di ricorso per Cassazione, per difetto di
interesse (tra tante v. Cass. 22/11/2010 n. 23635; 19/2/2009 n. 4053; Cass.
5/6/2007 n. 13068, Cass. 14/11 2006 n. 24209, Cass. 23/11/2005 n. 24591).
Quanto alle
doglianze contenute nella seconda parte del motivo, si osserva che la Corte di
Appello, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha
accertato:
1. che la riduzione dell’impianto preclude la visuale
dell’altro androne condominiale e del cortile interno dai balconi
dell’abitazione S. con una diminuzione del grado di visualità del 50%;
2. che l’unità
dell’attore ha subito un grave pregiudizio in luminosità, soleggia mento e
ariosità, non solo per effetto della gabbia, ma anche dei pannelli a vetri
bruniti, che non possono essere puliti dall’interno;
3. che la gabbia
impedisce l’apertura completa della preesistente cancellata a protezione della
finestra attorea e costituisce un punto
di accesso di malintenzionati per raggiungere il balcone;
4. che con
l’impianto è stata arbitrariamente inglobata la tubazione idrica
dell’appartamento S, impedendo così la normale manutenzione dell’impianto,
mentre il pannello in alluminio ne impedisce la consueta ispezione ai fini
della manutenzione ordinaria e straordinaria;
5. che i cavi di
alimentazione oleodinamica dell’ascensore costeggia tinti la parete interna
dell’arco a volta del primo androne sino alla facciata ove si apre il balcone
attoreo non sono stati messi sotto traccia, con conseguente danno estetico per
la parte sotto i balconi e per quella sopra la porta d’ingresso dell’unità S;
6. che al
distanza dell’impianto rispetto ai balconi è inferiore a quella del progetto
(cm. 44 anziché 90), e anche la virtuale modifica dei battenti al primo piano
costituisce un’ulteriore barriera architettonica , con ulteriore aggravio in
termini di luminosità, soleggia mento e ariosità in danno dell’’attore. Nel
condividere il giudizio espresso dal consulente tecnico d’ufficio, secondo cui
dagli inconvenienti innanzi indicati è derivata una riduzione del 25% del
valore dell’appartamento dell’attore, la Corte territoriale ha ulteriormente
evidenziato che l’impianto di ascensore, pur essendo stato realizzato col
sistema oleodinamico, nelle ore notturne è produttivo di una qualche rumorosità
per il predetto appartamento.
Il ricorrente si
è limitato a criticare la valutazione operata dal giudice del gravame solo con
riferiremo to agli aspetti della luminosità e della rumorosità; ma nulla ha
obiettato riguardo agli altri profili di compromissione del diritto di
proprietà esclusiva dell’attore, analiticamente individuati nella sentenza
impugnata e di per sé idonei a sorreggere
la decisione. Ne discende l’inammissibilità del motivo in esame, nella
parte de qua, per difetto di interesse.
Secondo un
principio affermato dalla giurisprudenza, infatti, nel caso in cui venga
impugnata una sentenza ( o un capo di questa) che si fondi su più ragioni,
tutte automaticamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla
cassazione della pronuncia, non colo che ciascuna di esse abbia formato oggetto
di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua
interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di
impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza in toto o nel
suo singolo capo, per tutte le ragione che automaticamente l’una o l’altro
sorreggono. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette
ragioni non abbia formato oggetto di
censura, ovvero, pur essendo stata impugnata avverso il singolo capo di essa,
debba essere respinto nella sua interezza., divenendo inammissibili, per difetto
di interesse, le censure avverso le ragioni poste a base della sentenza o del
capo impugnato (v. per tutte Cass. S.U. 8/8/2005 n. 16602).
È superfluo
aggiungere che el censure mosse in ordine alla luminosità ed alla rumorosità
sono formulate in termini del tutto generici e investono, comunque, il merito
delle valutazioni espresse dalla Corte distrettuale, che, in quanto sorrette da
motivazione immune da vizi logici, si sottraggono al sindacato di legittimità.
2) con il
secondo motivo il ricorrente lamenta ancora la violazione e falsa applicazione
degli artic. 1120, 1136 e 1137 cc, nonché l’omesso esame di documentazione
decisiva.
Deduce che
l’affermazione della Corte d’Appello, secondo cui, in precedenza, non vi
sarebbe stata accettazione del dante causa dell’attore alla installazione
dell’ascensore, si pone in contrasto con le delibere assembleari del 21/10/1993
e del 1/2/1996.
Sostiene di
conseguenza, che le impugnative proposte dallo S avverso le delibere del 24/4/1997
e 27/11/1997 devono considerarsi inammissibili. Rileva che la volontà dei danti
causa degli attori risulta confermata dallo stesso S nelle dichiarazioni rese
nel corso dell’assemblea del 29/4/1997 e nell’atto di citazione del
28/5/1997, e che la corte d’Appello ha
omesso di esaminare la lettera del 4/9/1998 inviata all’amministratore, con al
quale l’attore, in buona sostanza, non si era opposto alla modifica
dell’originario progetto dell’ing. C, che prevedeva la realizzazione
dell’ascensore nel primo cortile. Sostiene, infine, che anche l’impugnazione
delle delibere assembleari per nullità deve essere proposta nel termine di
decadenza di 30 gironi previsto dall’art. 1137, comma 3 cc.
Anche tale
motivo è infondato.
La Corte di
Appello, all’esito di un’esauriente ed approfondita disamina degli atti, ha
escluso che in occasione delle precedenti delibere assembleari richiamate dal
convenuto vi sia stata accettazione della realizzazione dell’ascensore da
parte dei danti causa dello S. Essa ha
osservato, in particolare, che nell’adunanza del 1/2/1996 la dante causa S P
non si oppose all’impianto, a condizione che il medesimo non pregiudicasse la
‘visibilità’ dell’appartamento, senza prestare, quindi, un consenso pieno e
incondizionato; e che nella tornata del 21/10/1993, allorchè si discusse della proposta in linea di
massima di alcuni condomini di installare l’ascensore, al stessa S si limitò a
dichiarare, ancor prima che fosse presentato il
progetto, che non intendeva partecipare alla spesa nè usufruire di tale
impianto. Ciò posto, si osserva che appaiono congrui e convincenti i rilievi
svolti dalla Corte territoriale, secondo cui le predette delibere non
contenevano alcuna approvazione da parte della S, non essendo configurabile
l’adesione a un progetto ancora ‘in itinere’. E infatti, come è stato
ulteriormente spiegato nella sentenza impugnata, nella tornata del 1/2/1996
l’assemblea non esaminò il progetto
esecutivo, ma si limitò ad approvare il progetto di massima, dal quale non
emergevano elementi utili a comprovare il pregiudizio derivante dall’unità
immobiliare dello S.
Le valutazioni
espresse al riguardo dal giudice del gravame si sottraggono al sindacato di
legittimità, essendo sorrette da
argomentazioni immuni da vizi logici e costituendo espressione di un
tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito.
Le deduzioni svolte dal ricorrente per sostenere che, contrariamente a quanto
affermato dalla Corte distrettuale, al dande causa dell’attore aveva prestato
il pieno consenso alla realizzazione dell’opera, pertanto, al di là della
formale denuncia di vizi di motivazione, si risolvono nella inammissibilità
richiesta di una diversa valutazione del
contenuto e della portata delle menzionate delibere assembleari, non consentita
in questa sede.
Quanto, poi,
alla lettera del 4/9/1998, di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame, le
censure mosse difettano del requisito di specificità, non precisando in modo
sufficiente l’effettivo contenuto delle missiva, sì da porre questa corte nelle
condizioni di apprezzare l’eventuale decisività del documento in questione.
Sotto altro
profilo, si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente,
l’azione proposta dall’attore, essendo diretta a far valere la nullità delle
due delibere del 1997, non era soggetta al termine di decadenza previsto
dall’art. 1137 comma 3 cc; e che, come evidenziato dalla Corte di Appello, la
nullità delle delibere condominiali può essere dedotta anche dal condominio che
in assemblea si sia dimostrato consenziente all’esecuzione di opere poi rivelatesi
lesive del suo diritto individuale.
Deve premettersi
che, secondo il consolidato orientamento di questa la Corte, debbono
qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi
essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito, le delibere con
oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che
incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà
esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione
all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi
relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con
maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento
condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni
legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione
o di informazione della’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità
nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti
qualificate maggioranze in relazione all’oggetto (Cass. S.U. 7/3/2005 n. 4806;
Cass. 9/12/2005 n. 27292; Cass. 20/7/2010 n. 17014).
Nella specie,
pertanto, correttamente la Corte di Appello ha ritenuto la nullità delle due
delibere impugnate, derivando dalle stesse la lesione del diritto dominicale
esclusivo dell’attore e una indebita invasione nella sua sfera giuridica
primaria.
Ai sensi
dell’art. 1120 comma 2 cc, infatti, devono ritenersi vietate non solo le
innovazioni che, ancorchè adottate con le maggioranze qualificate di cui
all’art. 1136 cc , compromettono il pari uso e il concorrente diritto degli
altri partecipanti nell’utilizzazione della cosa comune, ma anche quelle che
pregiudichino la proprietà esclusiva dei singoli condomini.
In tali sensi si
è già pronunciata questa Corte, rilevando, in
particolare, che l’art. 2 legge 9 gennaio 1989 n. 13 (recante norme per
favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), dopo
avere previsto la possibilità per l’assemblea condominiale di approvare le
innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell’art. 1136
comma secondo e terzo cc – così derogando all’art. 120 comma primo, che
richiama il comma quinto dell’art. 1136e, quindi, le più ampie maggioranze ivi
contemplate- , dispone, al terzo comma, che resta fermo il disposto dell’art.
120 comma secondo, il quale vieta le innovazioni che rendono talune parti
comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo
condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità secondo
l’originaria costituzione della comunione.
Ne deriva che, a maggioranza al fine
indicato, siano lesive dei diritti di altro condominio sulla porzione di sua
proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali
utilità compensative (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione dei
giudici di merito i quali avevano dichiarato la nullità della deliberazione
adottata a maggioranza in base all’art. 2 legge n. 13/1989 cit. di
installazione di un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino
portatore di handicap, che comportava sensibile deprezzamento dell’unità
immobiliare di altri condomino sita a piano terra) (Cass. 25/6/1994 n. 6109).
Per le stesse
ragioni deve ritenersi la nullità della delibera di installazione dell’impianto
di ascensore adottata nell’inetresse comune, se da essa consegua la violazione
dei diritti di un condomino sulle parti di sua proprietà esclusiva; con la
conseguenza che tale causa di invalidità non è soggetta ai termini di impugnazione
di cui all’art. 1137 ult. comma cc, ma può essere fatta valere in ogni temo da
chiunque dimostri di averne interesse e,., quindi, anche dal condomino che
abbia espresso voto favorevole (cfr. Cass. 19/3/2010 n. 6714, Cass. 24/5/2004,
n. 9981; Cass. 18/4/2002 n. 5626).
3) il ricorso, pertanto, deve
essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in
euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese
generali.
Così deciso in
Roma nella Camera di Consiglio del 24/5/2012.
Il Consigliere
estensore
Lina Matera il
Presidente
Roberto
Michele Triola
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