Qualche anno fa,
un amico ha acquistato a rate la camera da letto dei bambini, facendo ricorso
ad un finanziamento.
Poco dopo, a
causa della crisi, il negozio dove è stato effettuato l’acquisto è fallito
senza consegnare la merce al cliente.
Come se non
bastasse, per colmo della sfortuna, la finanziaria che aveva concesso il
prestito ha avuto la faccia tosta di richiedere al mio amico il pagamento delle
rate del finanziamento, anche se non era avvenuta la consegna dei mobili acquistati.
Il povero ragazzo,
quindi, era doppiamente disperato, non solo perché era rimasto senza i mobili
che gli servivano ad arredare la stanzetta dei bambini, ma rischiava anche di
pagare senza motivo il prestito solo per evitare una ingiunzione di pagamento.
Cosa succede in
queste situazioni?
Il consumatore
deve pagare il prestito anche se non ha ricevuto la merce, e così accollarsi il
rischio di tutta l’operazione?
Oppure la
finanziaria deve richiedere la restituzione delle somme al soggetto che
effettivamente le ha ricevute, cioè al negoziante, anche se fallito?
Chi sopporta il
rischio o la perdita finale? Il consumatore o la finanziaria?
Bene, in questi
casi, che capitano abbastanza frequentemente, la Cassazione ha stabilito che se
il contratto di finanziamento è stato stipulato per acquistare un bene, e
questo non viene consegnato, va dichiarata la risoluzione sia del contratto di
vendita che di quello di mutuo.
Infatti, i due
contratti sono collegati, e se viene dichiarato invalido il contratto di
vendita, necessariamente seguirà la stessa sorte anche il contratto di
finanziamento.
Questo comporta
che la finanziaria, per ottenere la restituzione della somma erogata, dovrà
rivolgersi al negoziante e non al consumatore.
Anzi, il
consumatore, non solo non dovrà più continuare a pagare le rate del prestito,
ma avrà anche diritto alla restituzione delle somme già pagate.
Di solito, le
finanziarie si difendono sostenendo che il consumatore può chiedere
l’annullamento del finanziamento solo se tra la società che ha erogato il prestito
ed il venditore esiste un rapporto di esclusiva.
Queste società,
infatti, preferiscono agire
giudizialmente nei confronti dei malcapitati consumatori, in primo luogo perché
questi hanno fornito garanzie ed informazioni (dichiarazioni dei redditi) in
base alle quali è più semplice recuperare il credito, anche con il ricorso a strategie
spesso scorrette; in secondo luogo perché, agendo nei confronti del
venditore fallito, dovrebbero accontentarsi del pagamento dei crediti in moneta
fallimentare, e quindi in misura notevolmente ridotta (sempre ammesso che
riescano effettivamente a recuperare qualcosa).
Tuttavia, la
sentenza 23 aprile 2009, n. 509/07,
della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, interpretando la Direttiva
87/102 CEE, ha confermato che, in una simile situazione, l’esistenza di un
accordo di esclusiva tra la finanziaria ed il fornitore (negoziante) non
pregiudica il diritto del consumatore di agire contro il finanziatore per
chiedere la risoluzione del contratto di credito e la restituzione delle somme
già versate.
Ciò significa
che, in casi come questo, se la finanziaria dovesse fare una ingiunzione di
pagamento, il consumatore potrebbe giustamente opporsi e far dichiarare dal
giudice l’invalidità del contratto.
A proposito …
come è andata a finire la vicenda del mio amico?
Diciamo innanzi
tutto che la finanziaria è stata molto scorretta anche nella gestione
processuale della vicenda.
Infatti, approfittando
della sua situazione di forza, e contrariamente a quanto stabilisce il Codice
del Consumo (D. Lgs. n. 206/2005), ha notificato una ingiunzione di pagamento
del Tribunale di Prato, mentre avrebbe dovuto rivolgersi al Tribunale di
Salerno, luogo di residenza del consumatore.
Il decreto
ingiuntivo è stato richiesto al giudice del luogo in cui la società finanziaria
aveva la sede operativa allo scopo di scoraggiare qualsiasi iniziativa
difensiva del consumatore, residente
invece nel Comune di Salerno.
Costringendo i
consumatori a doversi difendere in altre città, spesso e volentieri abbastanza
lontane, le finanziarie riversano sui consumatori dei costi aggiuntivi,
pregiudicando così il diritto della parte debole alla difesa.
Questo
comportamento, in effetti, è un mezzo di pressione psicologica per ottenere, in
maniera quanto mai scorretta, il pagamento di somme in realtà non dovute,
inducendo le persone ad abbandonare la difesa a causa dei costi eccessivi.
In ogni caso, tornando
alla nostra vicenda, abbiamo proposto opposizione
dinanzi al Tribunale di Prato, il quale ha dichiarato la nullità del
decreto ingiuntivo ottenuto dalla finanziaria, condannandola anche alle spese
processuali.
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