Recentemente, e tanto per
cambiare, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia
a causa della situazione rovinosa in cui si trovano i detenuti ospitati nelle
nostre carceri.
La Corte Europea,
infatti, ha riscontrato violazioni
sistematiche dei diritti dei detenuti, che subiscono trattamenti inumani e
degradanti a causa del sovraffollamento carcerario.
I detenuti, infatti, hanno a
disposizione meno di tre metri quadrati di spazio individuale (che dovrebbe
essere il minimo), bagni (WC) non separati dal resto della cella, privi di
finestre, senza acqua calda, celle concepite per un solo detenuto ma occupate
da tre o più persone.
Emblematico, ad esempio, il
caso di un detenuto affetto da incontinenza urinaria: era costretto a stare in
una cella affollata e subire umiliazioni a causa della totale mancanza di
intimità. Si può facilmente immaginare cosa significhi cambiarsi il pannolone
più volte al giorno in questa situazione…
In un altro caso, un
detenuto era costretto a trascorrere circa 20 ore al giorno sdraiato sul letto,
a 50 cm di distanza dal soffitto, non per pigrizia, ma a causa della mancanza
di spazio nella cella.
A causa di queste
condizioni, numerosi detenuti hanno presentato dei ricorsi a Strasburgo, e la
Corte Europea ha deciso (sentenza Torreggiani) che lo Stato italiano, entro il
mese di giugno 2015, deve adottare le misure necessarie per rimediare alla
situazione del sovraffollamento carcerario.
La Corte Europea ha
gentilmente invitato il nostro solerte Stato, fra l’altro sempre attento e
sensibile alla tutela dei diritti e della dignità dei propri cittadini, a fare
fondamentalmente due cose:
1) da una parte, predisporre delle misure
strutturali che risolvano le cause del sovraffollamento carcerario;
2) dall’altra parte, creare un rimedio
interno che consenta ai detenuti di ottenere un risarcimento per i danni
subiti a causa di un trattamento inumano
contrario all’art. 3 della Convenzione Europea (nessuno può essere sottoposto a
tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti).
Come ha risposto l’Italia
alle sollecitazioni europee?
Con il DL n. 92/2014,
convertito in legge n. 117/2014, con il quale è stata introdotta una riforma
dell’ordinamento giudiziario che ha previsto dei rimedi con i quali il detenuto
o l’internato può chiedere al giudice di porre rimedio alla situazione di grave
pregiudizio nella quale si trova.
Prima di continuare, però,
per chi non lo sapesse, precisiamo che
Detenuto è chi è stato
condannato, con sentenza irrevocabile, ad una pena detentiva;
Internato è chi è stato
privato della libertà personale in applicazione di una misura di sicurezza
(colonia agricola, casa di cura e di custodia, ospedale psichiatrico
giudiziario).
Fatta questa necessaria
distinzione, possiamo continuare illustrando in maniera semplice e sintetica i
rimedi previsti dalla legge.
Primo rimedio: art. 35 ter,
commi 1 e 2, legge n. 354/1975 (ordinamento giudiziario).
Si rivolge a persone
detenute o internate.
Abbiamo tre ipotesi:
1) Detenuto o internato che si trova nelle
condizioni inumane e degradanti che abbiamo sommariamente descritto sopra: Si
può rivolgere al magistrato di sorveglianza per ottenere uno sconto della pena
ancora da espiare. Lo sconto è pari ad
un giorno per ogni dieci di pregiudizio subito. Ad esempio: 570 giorni di
carcere in condizioni disumane o degradanti
danno diritto a 57 giorni di sconto di pena.
2) Detenuto o internato che abbia subito un
pregiudizio inferiore a 15 giorni: Ha diritto ad un risarcimento monetario pari
ad 8 (otto!) euro per ogni giorno di pregiudizio subito. Es.: pregiudizio di 14
giorni è 14 x 8,00 = € 112,00.
3) Detenuto o internato che ha subito un
pregiudizio, ma lo sconto di pena è maggiore del residuo di pena che deve
ancora scontare. Possiamo avere due ipotesi:
A) ha diritto ad 8 euro per ogni giorno di
pregiudizio subito. Es.: un pregiudizio di 640 giorni darebbe diritto ad uno
sconto di 64 giorni; ma se restano da scontare solo 25 giorni, ha diritto ad
8,00 euro per ogni giorno di pregiudizio subito è 64 x 8,00 = 512,00.
B) Si può anche chiedere al magistrato di
combinare il risarcimento monetario con lo sconto di pena. Per rimanere
all’esempio precedente: pregiudizio di 640 giorni è sconto di pena di 64
giorni; poiché restano da scontare 25 gg., si potrebbero concedere 25 giorni di
sconto di pena, e sui rimanenti (64 – 25 = 39) 39 giorni si calcola il
risarcimento monetario è 39 x 8 = 312,00 euro.
L’istanza può essere
presentata personalmente o tramite difensore.
Contro i provvedimenti del
Magistrato di Sorveglianza si può proporre reclamo al Tribunale di Sorveglianza
entro 15 giorni dalla notifica.
Secondo rimedio: art. 35
ter, comma 3, legge n. 354/1975 (ordinamento giudiziario).
Si rivolge a persone in
stato di libertà che:
1) Hanno finito di scontare la pena
detentiva;
2) Hanno subito il pregiudizio durante un
periodo di custodia cautelare non computabile nella pena da espiare: significa
che dalla pena detentiva non si può detrarre il periodo di custodia cautelare
perché, ad esempio, l’imputato è stato assolto.
In questi due casi, che,
come abbiamo detto, presuppongono la fine della detenzione o della custodia
cautelare, si può chiedere, personalmente o tramite avvocato, al Tribunale
civile (non al Magistrato di sorveglianza) del capoluogo del distretto in cui
risiede il ricorrente, il risarcimento in forma monetaria, di 8 euro per ogni
giorno di pregiudizio subito, entro 6 mesi dalla fine della pena detentiva
(carcerazione) o della custodia cautelare.
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