AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI
NAPOLI
CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
3^ Sez. Civile – Giudice Relatore Dott. ********
Udienza 9 novembre 2011
MEMORIA DIFENSIVA
per
il MINISTERO
DELLA GIUSTIZIA, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentato e difeso
ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, nei cui uffici ope
legis domicilia alla via A. Diaz, 11
resistente
CONTRO
**** rappresentato e difeso come in atti
Ricorrente
nel procedimento
introdotto con ricorso notificato unitamente a -- decreto di fissazione dell’udienza in
epigrafe per la discussione, in punto: equa riparazione per violazione del
termine ragionevole del processo.
*******************
Dato per noto il
tenore del ricorso introduttivo, si costituisce con il presente atti il Ministero ut supra, per
chiedere la reiezione degli atti di ogni avversa pretesa per i seguenti
Motivi
Nel merito
Ai fini della
valutazione della ragionevolezza del termine di durata del processo, la legge
89/01, all’art. 2 II comma, recependo i canoni elaborati dalla giurisprudenza
della Corte Europea dei diritti dell’uomo, individua tre parametri di
riferimento, costituiti dalla complessità del caso, dal comportamento delle
parti e del giudice del procedimento nonché di ogni altra autorità chiamata a
concorrervi o contribuire.
Se ne desume che
il termine ragionevole – lungi dall’essere un concetto assoluto, individuabile
tutte le volte che il processo si protragga per un lungo tempo, peraltro non
predeterminato dalla legge – è un concetto di relazione, che si può ritenere
solo se la durata del giudizio appaia eccessiva rispetto ai richiamati
parametri.
Fuori dai
profili di nullità sopra richiamati,
sembra pertanto a questa difesa che – visti i limiti posti dall’’art. 2, comma
I e particolarmente comma II, l. 89/01 – fin dall’atto introduttivo il
ricorrente debba, sul piano dell’onere di allegazione e di prova, chiarire in modo che la vicenda processuale
integri i presupposti di applicabilità della norma invocata, ossia perché la
durata del giudizio debba ritenersi eccessiva se valutata alla stregua dei
parametri indicati dalla legge.
Non solo,
infatti, la mera circostanza che il processo si sia protratto per diversi anni
sicuramente non è idonea in sé e per sé
a determinare in capo al ricorrente il diritto ad un’equa riparazione,
ma oltretutto essa neppure legittima in alcun modo presunzioni di sorta in
ordine alla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2, comma II, legge cit.,
che devono necessariamente essere dedotti, oltre che provati, dal ricorrente in
base al principio “onus probandi incumbit ei qui dicit”.
Pertanto, alla luce della più recente
giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza 1^ sez. civile 13 dicembre
2007 n.26161) tale circostanza va valutata nell’individuazione dei parametri di
riferimento.
L’azione ex
l.89/01 è modellata sulla falsariga di quella
risarcitoria ex art. 2043 c.c., come si desume sia dal rinvio all’art.
2056 c.c. per l’individuazione dei criteri rilevanti ai finii della
quantificazione della riparazione, sia dal fatto che la pretesa dell’indennizzo
sia condizionata, esattamente come accade per la pretesa risarcitoria da
illecito aquiliano, all’esistenza di un danno, legato da un nesso causale ad un
illecito, costituito nella specie dalla violazione dell’art. 6 I comma della
Convenzione sotto il particolare profilo de superamento del termine
ragionevole.
Quanto
all’elemento soggettivo (dolo o colpa), sebbene lo stesso non sia espressamente
menzionato dalla legge, è evidente che è dalla lessa implicitamente richiesto,
nel momento in cui all’art. 2 vengono introdotti fra gli elementi per al
valutazione della sussistenza dell’illecito ( la violazione dell’art. 6 I comma
della Convenzione) i comportamenti della parte e dell’Autorità e, quindi
inevitabilmente il grado di diligenza che li connota: il giudice è infatti
chiamato a considerare, come meglio si
vedrà infra, se il ritardo sia o non sia imputabile al richiedente l’indennizzo
o all’autorità giudicante (per quest’ultima, poi, vi è anche l prospettiva di
cui all’art. 5 l .
89/01 della responsabilità disciplinare o per danno erariale, anch’ esse
condizionate all’esistenza dell’elemento soggettivo).
La
ragionevolezza del termine di durata del processo è, in altre parole,clausola
generale che necessariamente si commisura anche ad un modello di agente
(per tale intendendosi l’ufficio giudiziario nel suo complesso) la cui condotta
si ispiri alla comune diligenza professionale, con la conseguenza ce il
superamento del termine ragionevole non potrà – fuori da inaccettabili
automatismi – cogliersi se non mediante l’applicazione alla fattispecie
concreta del detto modello astratto.
Il richiamo
contenuto nell’art. 2056 c.c. all’art. 1227 comma II, c.c. , comporta, inoltre,
attribuzione di rilevanza all’eventuale colpa
del danneggiante, uno stato soggettivo quanto meno di colpa.
Pertanto. Alla
stessa stregua di chi agisce a mente degli artt. 2043 ss, anche chi richieda
l’equa riparazione a norma della l. 89/98, potrà vedere riconosciuto il diritto
azionato solo se ed in quanto alleghi e dimostri l sussistenza di un danno
causato da quel particolare illecito che è il superamento del termine
ragionevole, il quale ricorre allorché sia dedotto e provato:
- che il caso non fosse di particolare complessità;
- che il comportamento della parte sia stato
tale da non avere cagionato il protrarsi del giudizio , e che il comportamento
dell’Autorità giudicate, o di altra autorità pure coinvolta nel giudizio, sia
stato invece causa del superamento del termine ragionevole.
Per quanto
concerne l’an della pretesa, si
riporta ai criteri in proposito elaborati dalla giurisprudenza interna ed
internazionale, ed in particolare dalla Ecc. ma Corte adita, cui si rimette,
con conseguente liquidazione del chiesto indennizzo, da determinarsi, peraltro ,
nel quantum, a stregua dei criteri in proposito elaborati dalla ormai costante
giurisprudenza della Corte medesima.
Ritenuto,
peraltro, che la concludente Amministrazione – giova rammentarlo – non ha modo
di soddisfare spontaneamente l’avversa pretesa indennitaria, ed è per legge
necessitata ad attendere il provvedimento di liquidazione della Corte d’Appello.
E che, nella fattispecie che ne occupa, non si oppone all’avversa pretesa, ben
potrà disporsi l’integrale compensazione delle spese di lite ( recte: nulla per
le spese), in considerazione della condotta processuale non ostativa della
medesima Amministrazione.
In proposito è
agevole il rinvio alla giurisprudenza pressoché univoca che esclude la stessa
possibilità di ravvisare una soccombenza rilevante ai fini della condanna alle
spese ex art. 91 cit., in tutti i procedimenti di volontaria
giurisdizione (ex plurimis, Cass.
Civ., I, 15 marzo 2001, n. 3750).
Da tutto quanto
precede, conclusivamente, emerge la illegittimità della condanna alle spese
giudiziali, nei procedimenti di volontaria giurisdizione, quale il presente,
quanto meno allorquando l’Amministrazione intimata, costituita o meno che sia,
non si sia opposta, come nella specie, alla pretesa del ricorrente, per la
parte tuttora vitale, non prescritta. Se disposta condanna alle spese, si potrà
tenere conto delle modalità indicate dalla suprema Corte con sentenza n.
27731/09
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Alla stregua di quanto precede, si rassegnano
le seguenti
CONCLUSIONI
“Piaccia
all’ecc. ma Corte adita rigettare il
ricorso perché non provato in tutti i suoi elementi; in via ulteriormente
subordinata determinare il danno equitativamente, tenendo conto dei fattori su
di esso incidenti evidenziati nelle suesposte difese; tenere in ogni caso conto
dei limiti imposti dall’art. 3 VII comma l. 89/01.
Si offre in
comunicazione ricorso introduttivo della lite.
Si chiede in
ogni caso , ove venga invece accolto il ricorso, stante la natura delle
questioni trattate provvedendo alla eventuale liquidazione dell’indennizzo ex adverso richiesto a stregua dei
criteri di cui in narrativa, in ogni caso disponendo l’integrale compensazione delle spese di lite, ovvero disponendosi
nulla per le spese”.
Napoli, 19
ottobre 2011
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Avvocato Distrettuale dello Stato
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