LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA
riunita in Camera di Consiglio e composta dai seguenti Magistrati:
Dott. Stefano FORMICONI Presidente
Dott. Bruno CASTAGNOLI Consigliere
Dott. Paolo Giuseppe VADALA’ Consigliere estensore
Visti gli atti del procedimento n. ****/2010 R.G. V. G.
promosso da: ********
rappresentata e difesa dall’Avv.
***** del foro di Vasto, in forza di delega in calce al ricorso introduttivo ed
elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte d’Appello di Ancona;
nei confronti di ****
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in
persona del legale rappresentante pt rappresentato e difeso ex lege dall’
Avvocatura Distrettuale dello Stato di Ancona, legale domiciliataria;
OGGETTO: ricorso ai sensi della Legge 24 marzo 2001, n.89.
HA pronunziato, a scioglimento
della riserva, di cui al verbale di udienza del 19 ottobre 2011, il seguente
DECRETO
Premesso in
fatto:
Con ricorso, depositato
il 15 ottobre 2010, ***** conveniva in giudizio il Ministero della Giustizia ai
sensi degli artt. 3 e 6 della L. 24 marzo 2001, n. 89 e succ. modd. Per il
mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, instaurato con
atto di citazione, notificato il 4 agosto 1998 nei confronti del ******,
davanti al Tribunale di Ravenna, deducendo la cattiva esecuzione di cure
dentistiche e ortodontiche sulla propria persona.
Il procedimento di primo grado, nel quale il
convenuto aveva chiamato in causa anche la ***** Assicurazione Spa, dopo una
serie di rinvii, anche d’ufficio, era stato definito con sentenza n. 8 del
2003, depositata il 13 gennaio 2003, con la quale era stata parzialmente
accolta la domanda dell’attrice e condannato il convenuto al risarcimento del
danno nei suoi confronti.
Il giudizio di
appello, instaurato con atto di citazione notificato il 25 febbraio 2004, era
stato definito con sentenza, depositata il 4 marzo 2010, con la quale il
predetto Trib. dichiarava la responsabilità del medico, condannando la
compagnia assicuratrice, quale terza chiamata, a tenerlo indenne delle somme
che doveva pagare alla danneggiata a titolo di risarcimento.
La causa,
ritenuta non particolarmente complessa, aveva avuto una lunga durata e nelle
more del giudizio, si erano verificati numerosi rinvii, anche d’ufficio.
Rappresentava il
ricorrente che il danno, da addebitarsi interamente all’organizzazione
giudiziaria, provato in re ipsa ed
avente contenuto esclusivamente
patrimoniale, era determinabile da parte di questa Corte, secondo i parametri
stabiliti della Corte Europei dei Diritti dell’Uomo e recepiti dalla
giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione (proponendo una
liquidazione, nella misura di euro 11.
400,00 complessivi).
Premesso quanto
sopra, parte ricorrente formulava domanda di risarcimento.
All’udienza del
19 ottobre 2011 questa Corte, udito il procuratore della ricorrente ed in
assenza del rappresentante del Ministero della Giustizia, non costituitosi in giudizio, riservava la decisione.
Ritenuto in diritto:
Non si ritiene
necessario disporre l’acquisizione degli atti del procedimento a monte,
apparendo sufficienti per la valutazione della durata eccessiva del
procedimento, dedotta dalla parte, gli atti già prodotti dal ricorrente.
Deve
preliminarmente osservarsi che la L. 24 marzo 2001, n. 89, di cui in questa
sede parte ricorrente richiede l’applicazione, individua tre parametri, ai
quali rapportare la fattispecie concreta, ai fini della verifica della
violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardi dei diritti
dell’Uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. 4 agosto
1955, n. 848, relativa alla ragionevole durata del processo: la complessità del
caso, la condotta delle parti ed il comportamento delle autorità procedenti o
di quelle che debbano, comunque, contribuire alla definizione del procedimento.
Il giudice
italiano, inoltre, è vincolato dal disposto, di cui all’art. 2, lett. a) della
L. n. 89 del 2001, secondo il quale può essere liquidato soltanto il danno,
riferibile al periodo eccedente i termine ragionevole (v. Cass. n. 17838 del 4
luglio – 7 sett. 2005, per cui “detta
diversità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge ad
assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una
ragionevole durata del processo e dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità
di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana
mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento,
anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 paragrafo I della
Convenzione medesima (art. 111, comma 2 della Cost. nel testo fissato dalla L.
cost. n. 2/1999).
Nella
fattispecie concreta, deve considerarsi che dalla notifica della citazione
introduttiva del procedimento “a monte”, sino al momento del deposito della
sentenza di secondo grado, la causa è durata, complessivamente, undici anni e
sette mesi.
I tempi
fisiologici di durata dei processi, sulla base della giurisprudenza della Corte
Europea di Giustizia, devono ritenersi determinabili nella misura di anni tre
per il primo grado e di anni due per il secondo grado, tenuto conto anche del
fatto che la controversia non appare contrassegnata da una particolare
complessità e che al lunghezza del procedimento appare dovuta a ragioni, che
sembrano indipendenti da inattività delle parti o del Giudice, apparendo, per
contro, collegate alle disfunzioni organizzative, che comportano la consueta
lunghezza dei procedimenti civili.
Il danno non
patrimoniale, dovuto alla non ragionevole durata del processo è identificabile
nello stato d’incertezza e di disagio, che l’eccessiva durata del processo
determina nelle persone, interessate al giudizio.
In assenza di
elementi, tali da escludere il pregiudizio, normalmente connesso all’eccessiva
durata del procedimento, considerando anche che la sentenza di primo grado ha
parzialmente accolto al domanda originaria, formulata dall’attuale ricorrente,
si ritiene opportuno effettuare la liquidazione di tale pregiudizio nella
misura di euro 750,00 per ogni anno, successivo al quinquennio e soltanto per i
primi tre anni di ritardo (secondo l’orientamento di cui all’ordinanza della
Suprema Corte del 2010, n. 17922, che questa Corte ritiene di seguire) e di
euro 1.000,00 per ogni anno , a
decorrere dal quarto ritardo.
Il ritardo
effettivo, rispetto ai parametri previsti dalla Corte Europea dei diritti
dell’Uomo, è di quattro anni e sette mesi, considerato il periodo,
intercorrente tra il deposito della sentenza di primo grado e la notifica
dell’atto di citazione in appello e quello, normalmente necessario per
l’espletamento della CTU.
Si ritiene, di
conseguenza, di liquidare alla ricorrente la somma di euro 4.000,00 oltre gli
interessi legali, dalla data della presente pronunzia in saldo, in ragione
della liquidazione, effettuata all’attualità e quindi secondo un criterio di
valore.
Le spese seguono
la soccombenza es i liquidano in dispositivo, con compensazione nella misura di
½ , tenendo conto della differenza tra
quanto richiesto e quanto liquidato.
P.Q.M.
La Corte,
definitivamente pronunziando sul ul
ricorso, ex art. 3 L .
4arzo 01, n. 89 proposto da **** nei confronti del Ministro della Giustizia, depositato
in data 15 ott. 2010, così provvede:
condanna il ministero della Giustizia al
pagamento, in favore del ricorrente, dell’importo di euro 4.000,00
(quattromila/00), oltre interessi nella misura legale sullo stesso importo
dalla pronuncia al saldo;
condanna altresì l’Amministrazione convenuta a
rifondere alla ricorrente, le spese di lite, liquidate in euro 500,00 per
diritti e 800,00 per onorari, oltre a tutti gli accessori di legge;
spese compensate nella misura ½ ;
menda alla Cancelleria per le comunicazioni
ex art 5 della L. n. 89/2001 e per la comunicazione del presente decreto.
Ancona, così deciso nella Camera di
consiglio del 15 ottobre 2011.
Il PRESIDENTE
(Dott. Stefano Formiconi)
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