Tempo fa,
mi sono interessato ad una situazione di malasanità un po’ particolare.
Non si
è trattato, per fortuna, dell’ennesimo episodio del malato che perde la vita a causa del
cattivo funzionamento del sistema sanitario, ma di un caso, altrettanto
importante, di dignità calpestata.
Un signore anziano,
che chiameremo Mario, è affetto da bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO IV grado severo) e
da cardiopatia ischemica cronica.
Queste patologie sono abbastanza
serie; diciamo che, a seconda dei casi, comportano una notevole riduzione del
funzionamento dell’apparato cardio-respiratorio.
Una mattina, a causa di un malore
provocato da uno scompenso cardiaco, Mario è costretto a chiamare l’ambulanza.
Il medico del 118, resosi conto delle
precarie condizioni di salute del malato, decide per un ricovero urgente in
ospedale.
Alle
ore 10,00 Mario entra nel reparto di pronto soccorso e viene sistemato su
una lettiga in attesa del suo turno, sotto un condizionatore acceso dal quale
fuoriesce aria fredda.
E’ anche febbricitante.
Non può muoversi, perché è allettato da diversi anni.
Dopo un po’
di attesa, chiede al personale dell’ospedale la cortesia di cambiargli il
pannolone che, nel frattempo, si è
sporcato, ma viene completamente ignorato.
I familiari,
che aspettano in sala di attesa, si offrono di cambiare loro stessi il
pannolone, ma dagli infermieri ottengono solo risposte evasive, frettolose e
sgarbate.
Nel corso della
giornata, i figli spiegano più volte al personale medico e paramedico che il
loro papà non è autonomo, utilizza pannoloni e ha bisogno di essere cambiato, anche per evitare di aggravare ulteriormente
la sofferenza delle piaghe da decubito.
Inoltre, chiedono agli infermieri di
spostarlo dal getto di aria fredda del condizionatore.
Ma non succede niente. Rimane sempre
lì, solo. Con il pannolone sporco di urina e feci.
Mario è malato nel corpo, ma è
mentalmente lucido. Il pannolone sporco gli dà un fastidio enorme. Ma lo
infastidiscono ancora di più gli sguardi delle persone che lo fissano con aria
un po’ schifata a causa del cattivo odore che proviene dal suo lettino.
E si sente sempre più imbarazzato ed
umiliato quando a guardarlo in quel modo sono alcuni suoi conoscenti
intrufolatisi nel reparto per fare compagnia agli altri malati ricoverati.
Sì, proprio così! I suoi figli non li
hanno fatti entrare, come è giusto che sia, ma quel giorno, nel reparto di
pronto soccorso, ci sono i familiari di altri malati. Nemmeno loro dovrebbero trovarsi
lì!
Il calvario di Mario termina alle ore
17,00, quando viene trasferito nel reparto di pneumologia ancora nelle condizioni vergognose in cui si
trovava 7 ore prima.
A quel punto, può essere finalmente
cambiato dai parenti. Non dagli infermieri.
Qualche mese dopo, il nostro amico,
ritenendo di aver subito un trattamento degradante e lesivo della sua dignità
sia di uomo che di malato, mi chiede di citare in giudizio l’ospedale, per
ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti.
Non si può negare che, a causa della
disorganizzazione, della carenza di personale e di un po’ mancanza di umanità e di buona volontà, Mario
ha effettivamente subìto una immobilità forzata in condizioni decisamente disumane e poco igieniche per ben 7 ore!!
La Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo (CEDU), pronunciandosi in materia di dignità, ha sostenuto che deve
considerarsi degradante quel trattamento che può causare alla
persona una umiliazione o un avvilimento di una certa gravità.
Infatti, il malato ha il diritto di ricevere le cure e l’assistenza che si
rendono necessarie in base al proprio stato di salute ed alla propria
situazione personale, e tale diritto non può essere limitato o escluso da
ragioni organizzative della struttura ospedaliera (poco personale, mancanza di
spazio, ecc.).
L’Azienda Ospedaliera è responsabile
delle azioni (e delle omissioni) compiute dai suoi dipendenti, e risponde
direttamente della loro negligenza ed imperizia per le prestazioni effettuate (o
non effettuate) nei confronti dei pazienti.
Quindi, il personale di un ospedale
non può rifiutarsi (o ritardare) di accudire un malato ricoverato con la scusa
che c’è poco personale, troppo lavoro, o altre amenità del genere.
In una situazione simile, la Corte di
Cassazione (Sent. n. 39486 del 27/09/2006), giudicando il caso di una
infermiera che aveva ritardato il cambio del pannolone ad un malato, ha affermato
che l’infermiere che rifiuta di effettuare le operazioni di pulizia di un
degente, che per ragioni di igiene e sanità devono essere compiute senza
ritardo, risponde del reato di omissione
di atti d’ufficio (art. 328 cp).
Sempre secondo la Cassazione, in
questi casi l’infermiere non può nemmeno addurre come scusante la vergogna
dovuta alla differenza di sesso.
Pertanto, la struttura ospedaliera
risponde anche dei danni causati dalle sue gravi carenze organizzative.
Questi principi, ormai pacifici, sono
stati confermati più volte da vari Tribunali italiani.
Nel corso del
giudizio abbiamo richiesto anche l’interrogatorio formale del rappresentante
legale dell’ospedale, ma questi non si è presentato, per cui il giudice, anche
da tale comportamento, ha tratto elementi di valutazione per la sua decisione.
L’azienda
ospedaliera (forse per la vergogna) non ha neanche provato a difendersi.
Ovvero, per
la precisione, si è costituita in giudizio, ma
i suoi legali non si sono mai presentati al processo.
Il Giudice di
Pace, valutate le prove, ha accolto la nostra domanda, condannando l’azienda
ospedaliera al risarcimento del danno.
Il giudice ha
ritenuto che l’anziano paziente sia stato
trattato in modo indegno e contrario ai principi etici e morali, con grave violazione del
diritto alla salute in senso ampio e del diritto alla dignità umana.
Alla luce di
quello che si sente dire, sempre più spesso, sul “Pronto Soccorso”, ultimamente
ribattezzato “Lento Soccorso”, sono sempre più convinto che Mario abbia fatto
bene a citare l’ospedale.
Non per i
soldi. La sua vita non è cambiata con mille euro in più.
Ma per ricordare
ad alcuni boriosi professoroni in camice bianco che la dignità umana va sempre rispettata,
a prescindere dall’età, dallo stato di salute e dalla posizione sociale del malato.
Siamo in
Italia, e certi episodi non dovrebbero verificarsi. Tuttavia, quando succedono,
fanno arrabbiare.
Soprattutto
perché gettano discredito anche sui medici e paramedici, e sono tanti, che svolgono con diligenza, professionalità
ed umanità il proprio lavoro.
Ritengo, pertanto, che siano sicuramente
da condannare quegli episodi in cui i familiari dei malati, presi dall’esasperazione,
minacciano, ingiuriano o, peggio, picchiano medici ed infermieri giudicati poco
attenti, garbati o umani, pensando di ottenere, in tal modo, più rispetto e
considerazione.
Credo, tuttavia, che siano
altrettanto riprovevoli quei comportamenti arroganti e boriosi di una parte del
ceto medico, che appaiono ancora più odiosi e vili perché compiuti con il
camice bianco, in strutture che dovrebbero essere al servizio esclusivo del
malato, e non centri di potere clientelare, in cui ci si riveste di forza ed autorità
solo con i più deboli e gli inermi.
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