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lunedì 24 marzo 2014

LEGGE PINTO - DOMANDE FREQUENTI: CASI IN CUI NON VIENE RICONOSCIUTO L’INDENNIZZO



La liquidazione del danno (equa riparazione), soprattutto non patrimoniale, prescinde dall'esito della causa di merito in cui vi è stata violazione del termine ragionevole.

Il ricorso, pertanto, può essere proposto anche dalla parte soccombente, ma solo quando quest'ultima non sia stata condannata ai sensi dell'art. 96 del codice di procedura civile, ossia nel caso di cd responsabilità aggravata (se ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave).

L’equo indennizzo, inoltre, non viene riconosciuto:

-          Nel caso previsto dall’art. 91, comma 1, cpc, ossia nei confronti della parte che, senza giustificato motivo, ha rifiutato la proposta di pagamento in sede conciliativa quando la domanda è accolta dal giudice in misura non superiore a tale proposta;

-          Nel caso di cui all’art. 13, comma1, DL 4/2010 n. 28, ossia nei confronti della parte che, in fase di mediazione subisca dal giudice i provvedimenti sulle spese per aver rifiutato la proposta di conciliazione quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponda interamente al contenuto della proposta;

-          Nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a comportamenti dilatori della parte;

-          Quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini di durata dei singoli gradi di giudizio di cui all’art. 2 bis della legga 89/01, ossia tre anni in primo grado, due anni in secondo grado, un anno nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione;

-          Nei confronti della parte che abbia abusato dei suoi poteri processuali, provocando un allungamento ingiustificato dei termini di durata del processo.


giovedì 13 marzo 2014

LEGGE PINTO - DOMANDE FREQUENTI: LA LIQUIDAZIONE DELL'INDENNIZZO



La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che l’azione tendente ad ottenere l’equa riparazione è di natura indennitaria e non risarcitoria.

Ciò significa che il diritto all'equa riparazione non richiede l’accertamento di un illecito, né presuppone la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente: esso è invece ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, cioè di un evento di per sé  lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole.


Inoltre, la funzione risarcitoria del danno per il mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo si distacca dallo schema del risarcimento da fatto illecito, e deve essere correttamente ricondotta nell’ambito delle fattispecie indennitarie compensative di danni prodotti nell’esercizio di attività lecite (Cass. 18/3/2003 n. 3973).


Dall’esame delle pronunce della giurisprudenza di legittimità, emerge una responsabilità di tipo oggettivo del Ministero resistente, il quale ha violato il termine ragionevole di durata del procedimento.


In sostanza, per attribuire tale forma di responsabilità al Ministero, non occorre provarne la colpa ex art. 2043 cc, ma è sufficiente provare il dato oggettivo del tempo in eccesso trascorso dall’inizio del procedimento.


Il presupposto della responsabilità del Ministero resistente risiede nella violazione del termine di durata del procedimento, che non è rigidamente predeterminata, ma va desunta anche con ricorso ai criteri indicati nell’art. 2 L. 89/2001: comportamento delle parti, del giudice e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a contribuire alla definizione del processo.


Infatti, anche le cause complesse e quelle in cui le parti abbiano tenuto un comportamento defatigatorio soggiacciono alla norma che ne impone la definizione in un tempo ragionevole, in quanto, secondo un principio enunciato dalla Cassazione a Sezioni Unite, il giudice deve fare fronte alla complessità del caso con un più risoluto ed incisivo impegno, ed al comportamento defatigatorio delle parti con l'attivazione dei rimedi all'uopo previsti dal codice di procedura civile.


Dunque, il dato fondamentale da assumere a base dell'accertamento della violazione è quello, di natura oggettiva, costituito dalla durata del processo, sul quale possono incidere i criteri indicati nell'art. 2, senza peraltro eliminare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass. n. 8600/2005; Cass. SS. UU., n. 1338 del 2004).


Ai fini della responsabilità dello Stato, il criterio della durata massima del procedimento si dovrebbe armonizzare con un metro di scansione temporale interna del procedimento che fissa in tre mesi la lunghezza del rinvio ragionevole (Corte appello Firenze, 25 gennaio 2002).


A proposito dei rinvii che, nell’ambito di un processo, siano stati chiesti dalle parti, è necessario evidenziare che, in tema di valutazione della ragionevole durata del processo, non tutto il lasso di tempo intercorso tra una udienza e l’altra può essere imputato al comportamento della parte che abbia chiesto il rinvio, dovendo il giudice adito in sede di equa riparazione verificare se l’entità del rinvio sia ascrivibile anche a concorrenti cause dell’organizzazione giudiziaria (Cass. 30/03/2005 n. 6713; Cass. 7/2/2004 n. 6856).


Per la precisione, ai fini dell'accertamento della durata ragionevole del processo, a fronte di una cospicua serie di rinvii chiesti dalla parte e disposti dal giudice, si deve distinguere tra tempi addebitabili alla parti e tempi addebitabili allo Stato, individuando la durata irragionevole comunque ascrivibile a quest'ultimo, soprattutto quando l'intervallo fra le udienze sia considerevole (Cass. 20233/2008).


A tal proposito, la Suprema Corte ha chiarito che “in caso di non ragionevole durata del processo, ove si richieda il risarcimento del danno non patrimoniale subito, la natura dello stesso rende plausibile sia il suo accertamento mediante il ricorso a presunzioni e a fatti notori, sia la liquidazione con valutazione equitativa, a norma dell’art. 1226 cc, atteso che preoccupazioni, tensioni e disagi della persona fisica non sono suscettibili di una facile dimostrazione diretta che può, dunque, essere desunta anche in via indiretta dalla deduzione dell’insieme delle circostanze di fatto del caso concreto allegate e provate o, comunque, emergenti dagli atti” (Cass. 24/10/2003 n. 16047).


Le Sezioni Unite della Suprema Corte, conformemente ai principi elaborati in materia dalla Corte di Strasburgo, hanno precisato che, allorquando venga accertata la violazione del termine ragionevole di durata del procedimento, il danno non patrimoniale deve presumersi esistente, a meno che, per la particolarità della fattispecie, possa rivelarsi inesistente.


La Corte d'Appello di Napoli (13 dicembre 2001) ha ritenuto che è indubbio che la lunga attesa della definizione di un qualsiasi giudizio determini nel cittadino stanchezza, sfiducia nella giustizia e più in genere nelle istituzioni, senso di impotenza e, quindi, in definitiva uno stato d'animo negativo suscettibile di ristoro in termini di danno morale ai sensi del disposto di cui all'art. 2 comma 1 della l. n. 89 del 2001, da liquidarsi in via equitativa.


In buona sostanza, una volta accertata la violazione deve, di regola, considerarsi in re ipsa la prova del relativo pregiudizio, nel senso che detta violazione comporta nella normalità dei casi anche la prova che essa ha prodotto conseguenze non patrimoniali in danno della parte processuale (Cass. 16/2/2005 n. 3118).


Pertanto, in assenza di situazioni particolari che si rivelino presenti nel singolo caso concreto, il danno non patrimoniale non può essere negato alla persona che ha visto violato il proprio diritto alla durata ragionevole del processo.


Tanto anche perché l’equa riparazione riconosciuta dalla legge 89/2001 è un diritto non al risarcimento del danno, ma un indennizzo: di conseguenza, rimane irrilevante ogni eventuale riferimento all’elemento soggettivo della responsabilità (Cass. Sez. Un. 27/11/2003-26/01/2004 n. 1339).


Inoltre, ai fini del riconoscimento del diritto all’equa riparazione, la parte privata ricorrente non deve provare il danno morale, trattandosi di conseguenze che normalmente si verificano secondo l’id quod plerumque accidit (Cass. 29/03-11/05/2004 n. 8896): una volta accertata la sussistenza della violazione del termine di ragionevole durata del processo, la parte che assume di aver subito un danno non patrimoniale in conseguenza della eccessiva durata del processo, non è tenuta a fornire specifica prova dello stesso, atteso che, secondo la CEDU, il danno non patrimoniale (da identificarsi col patema d’animo, con l’ansia, con la sofferenza morale causate dall’esorbitante attesa della decisione), a differenza del danno patrimoniale, si verifica normalmente, e cioè di regola per effetto della violazione della durata ragionevole del processo, per cui deve ritenersi presente secondo l’id quod plerumque accidit senza bisogno di alcun sostegno probatorio (Cass. 12/08/2005 n. 16885).


In definitiva, il riconoscimento del processo come causa di ansia, di stress e di dispendio di tempo ed energie suscettibile di dar luogo al risarcimento delle parti che lo abbiano irragionevolmente subito è da ritenere principio d’ordine costituzionale immediatamente precettivo (Ved. Cass. Sez. Un. 23/12/2005 n. 28507).


Per quanto riguarda la misura dell’indennizzo, l’art. 2 bis della legge Pinto, così come modificato dal DL 83/2012, stabilisce che il giudice liquida una somma di denaro compresa tra un minimo di 500,00 euro ed un massimo di 1.500,00 euro, per ciascun anno,  o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo.


Il giudice determina l’indennizzo in base all’art. 2056 cc, tenendo conto dell’esito del processo nel quale si è verificata la violazione del termine ragionevole (cd giudizio presupposto); del comportamento del giudice e delle parti; della natura degli interessi coinvolti; del valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte.



La misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, art. 2 bis, comunque, non può essere superiore al valore della causa o al valore del diritto accertato dal giudice: pertanto, l’indennizzo potrebbe essere anche inferiore a 500,00 euro. 

martedì 11 marzo 2014

LEGGE PINTO - DOMANDE FREQUENTI: COMPETENZA TERRITORIALE



La domanda di equa riparazione si propone con ricorso al Presidente della Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il giudice competente, ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale, a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto si è concluso o estinto, relativamente ai gradi di merito, il procedimento nel quale si è verificata la violazione.


La competenza per territorio, ai sensi dell’art. 3 L. 89/01 che richiama l’art. 11 cpp, deve essere determinata con riguardo al giudice di merito dinanzi al quale il procedimento è iniziato (Cass. SS. UU., Ord. n. 6306 del 16/03/2010). 

In tal modo, secondo l’interpretazione data dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, si considera in modo unitario il giudizio presupposto nel quale si è verificata la violazione della durata del termine ragionevole, ed il fattore rilevante della sua localizzazione diventa la sede del giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale il giudizio è iniziato.


E' agevole osservare che il termine distretto appartiene alla descrizione del criterio di collegamento, che il legislatore importa dalla disposizione processuale penale e che la sua valenza di delimitare un certo ambito territoriale può funzionare in modo identico, quale che sia l'ufficio giudiziario davanti al quale il giudizio presupposto è iniziato e l'ordine giudiziario cui appartiene, perché dell'ufficio giudiziario viene in rilievo la sede e non l'ambito territoriale di competenza (Cass. SS. UU., Ord. n. 6306 del 16/03/2010).


Si applica l’art. 125 del codice di procedura civile: Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza, e, tanto nell'originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore [disp. att. 170] che indica il proprio codice fiscale. Il difensore deve, altresì, indicare l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine e il proprio numero di fax.


La domanda di equa riparazione, per i procedimenti svoltisi in un Ufficio Giudiziario del distretto di Corte d’Appello di Salerno, si propone alla Corte d’Appello di Napoli.

Le Corti d’Appello competenti sono le seguenti:

Roma Perugia
Perugia Firenze
Firenze Genova
Genova Torino
Torino Milano
Milano Brescia
Brescia Venezia
Venezia Trento
Trento Trieste
Trieste Bologna
Bologna Ancona
Ancona L’Aquila
L’Aquila Campobasso
Campobasso Bari
Bari Lecce
Lecce Potenza
Potenza Catanzaro
Cagliari Roma
Palermo Caltanissetta
Caltanissetta Catania
Catania Messina
Messina Reggio Calabria
Reggio Calabria Catanzaro
Catanzaro Salerno
Salerno Napoli
Napoli Roma