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sabato 28 luglio 2012

CORTE DI CASSAZIONE - ORDINANZA N. 10540/12



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE – I

Composta dagli Ill.mi Magistrati
Dott. Giuseppe Salmì                                                  Presidente
Dott. Luigi Macione                                                    Consigliere
Dott. Renato Bernabai                                     Consigliere
Dott. Massimo Dogliotti                                              Consigliere
Dott. Pietro Campanile                                    Rel. Consigliere


Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Sul ricorso  19936 – 2010 proposto da:
E   S  (CF****), elettivamente domiciliato in Roma, presso la corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. *****, giusto mandato a margine del ricorso;

ricorrente
contro

C ;  G;

intimata
avverso la sentenza n. 2017/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/03/2012 dal Consigliere relatore Dott. Pietro Campanile.

È presente il Procuratore generale in persona del Dott. Federico Sorrentino.


Ritenuto in fatto e in diritto

Il Consigliere delegato ha depositato la seguente relazione ai  sensi dell’art. 380 bis cpc.

“Con sentenza depositata in data 5/03/2009 il tribunale di Napoli che aveva già pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in data 01/07/1989 da E S e C G disponeva l’affidamento congiunto della figlia minore, collocata in prevalenza presso la madre, ponendo a carico del padre, a titolo di contributo per mantenimento della stessa, nonché dell’altro figlio della coppia, maggiorenne e convivente con la C, cui veniva assegnata la casa coniugale, un assegno di € 950,00 , da rivalutarsi annualmente.

Veniva altresì rigettata la domanda della predetta di un assegno a titolo di contributo per proprio matrimonio, per non aver dimostrato la propria impossibilità di procurarsi redditi adeguati.

La corte d’Appello di Napoli, con la pronuncia oggetto di scrutinio, in riforma dell’impugnata decisione, considerata l’età della C, la sua dedizione alla casa e all’accudimento della prole e, quindi, le difficoltà, soggettive ed oggettive, per procurarsi un lavoro confacente alle proprie capacità, nonostante l’iscrizione nelle liste del collocamento ed i propri sforzi, che le avevano soltanto consentito, in passato, di ottenere dei modesti introiti per incarichi saltuari,valutata altresì la preminente posizione economica dell’e, ufficiale dell’Esercito Italiano in congedo, condannava costui al pagamento, con decorrenza dalla domanda, di assegno divorzile, rivalutabile annualmente, pari ad € 250,00, rigettando l’appello incidentale proposto dallo stesso E .

Avverso tale decisione l’E propone ricorso in Camera di Consiglio, imponendosene il rigetto in considerazione della manifesta infondatezza.

Invero il primo motivo, con il quale viene denunciata violazione dell’art. 5 della L. n. 898 del 1970, nonché vizio di motivazione, è inammissibile nella misura in cui contiene alcuna specifica impugnazione, nè con riferimento al principio di diritto asseritamente violato, nè con riferimento a quei passaggi della motivazione dai quali dovrebbe desumersi l’attribuzione dell’assegno divorzile “ come effetto del mero scioglimento del matrimonio”.

La corte territoriale, come verrà meglio appresso evidenziato, ha fornito una congrua motivazione in merito alle ragione della decisione, verificando la sussistenza di tutti i presupposti per l’attribuzione dell’assegno, e procedendo alla sua quantificazione in maniera corretta.

Con il secondo motivo si denuncia, sotto diversi profili, la violazione degli artic. 5 della L. n. 898 del 1970, come successivamente modificata, nonché dell’art. 2697 cc, soprattutto con riferimento all’omessa comparizione fra il tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio e quello consentito dalle condizioni attuali, nonché all’impossibilità, per la C, di reperire attività lavorativa.

Il motivo è in parte inammissibile, laddove ripropone in questa sede valutazioni riservate  al giudice del merito, ed in parte infondato.

Sotto quest’ultimo profilo, deve rilevarsi, da un lato, come nella sentenza impugnata, sia stato implicitamente quanto adeguatamente valutato  il tenore di vita in costanza di convivenza, sia con riferimento alla posizione economica  e sociale del marito, ufficiale dell’esercito, a fronte dell’attività di casalinga svolta dalla moglie (cfr. Cass. 12/07 n. 15610, secondo  cui correttamente il tenore di vita precedente viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi ed alle disponibilità patrimoniali), sia in relazione all’assetto economico vigente all’atto della pregressa separazione personale, che la Corte territoriale ha correttamente considerato, costituendo un  elemento utile di valutazione, che è suscettibile di essere apprezzato in favore della parte richiedente l’assegno, per il principio di acquisizione presente nel vigente ordinamento processuale, anche in assenza della prova da parte del richiedente della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’attribuzione dell’assegno in questione (Cass. 27/07/2005 n. 15728).

Nella sentenza impugnata, poi, risulta correttamente applicato il principio secondo cui il giudice, chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, è tenuto a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza – all’atto della decisione - dei mezzi o all’impossibilità di procurarsi per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio,.

La nozione di adeguatezza, che postula un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, impone di tener conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio (Cass. 4 /10/2010, n. 20582). 

Quanto all’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati, richiamato il principio secondo cui all’accertamento della capacità lavorativa del coniuge richiedente va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell’astrattezza, bensì in quella dell’effettività e della concretezza, dovendosi, all’uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi del caso di specie in rapporto ad ogni fattore economico – sociale, individuale, ambientale, territoriale ( Cass. 16/07/2004, n. 13169), va rilevato che la Corte territoriale ha adeguatamente evidenziato, con motivazione in esame da censure in questa sede, come, avuto riguardo all’iscrizione nelle liste di collocamento, alla pregressa dedizione alla famiglia ed all’educazione dei figli, all’accettazione in passato di attività anche precarie confacenti alle proprie attitudini di impiegata di concetto, all’età ormai non più giovane (46 anni), in un mercato del lavoro quanto mai difficile, soprattutto nella località in cui la C risiede, la stessa non sia in grado, per ragioni obiettive e, comunque, a lei non imputabili, di svolgere adeguata attività lavorativa (cfr, in motivazione, Cass. 28/03/2003, n. 4736; Cass. 16 giugno 2004, n. 23378; Cass. 12 luglio 2007, n. 15610; Cass. 29 novembre 2007 n. 24938).

Del pari infondato, ed in buona parte inammissibile, è il terzo motivo, con il quale si propongono quasi esclusivamente questioni attinenti al merito, in relazione alla decorrenza dell’assegno, i cui effetti sono stati fatti risalire nella decisione impugnata alla data della domanda. Tale statuizione, che in base all’attuale formulazione dell’art. 4 della L. n. 898 del 1970, comma 13, costituisce un potere discrezionale del giudice (Cass. 24 gennaio 2011, n. 1613), risulta sorretta da un idoneo apparato argomentativo, consistente nella constatazione dell’accertata sussistenza dello squilibrio delle posizioni reddituali sin da tale momento.

Il quarto motivo, con il quale si ripropone la domanda, già avanzata con appello incidentale, di contenere, in caso di riconoscimento di assegno in favore della moglie, nei limiti della somma già determinata dal tribunale per il mantenimento dei figli, da un lato propone inammissibilmente una sorte di compensazione fra situazioni soggettivi parimenti ed autonomamente meritevoli di tutela, dall’altro impinge contro le puntuali argomentazioni, contenute nella decisione impugnata e non censurabili in questa sede, circa la compatibilità complessiva degli oneri posti a carico dell’E, con la sua posizione reddituale.

Il quinto motivo in parte ripropone le questioni inerenti all’applicazione del principio di adeguatezza, correttamente applicato come già rilevato, dalla corte territoriale, dall’altro si duole della sovrapposizione dell’assegno di divorzio con quello di separazione, senza considerare che il secondo subentra de iure al primo e che le somme versate medio tempore dovrà tenersi conto in executivis.

Quanto al sesto motivo, costituisce una sorte di riepilogo delle doglianze già esplicate , riproposte in relazione alla violazione dell’art. 2697 c.c., valgano le superiori considerazioni.

Il Collegio  condivide al relazione, ritualmente comunicata al P.G. e notificata alla parte costituita.

Tali conclusioni non mutano all’esito dell’esame della memoria presentata nell’interesse del ricorrente, nella quale vengono in sostanza riproposte questioni, attinenti al merito, essenzialmente già valutate nella relazione. Quanto alle osservazioni inerenti alla retroattività dell’assegno, vengono poste delle questioni riservate esclusivamente alla fase esecutiva, per altro di facile soluzione alla luce dell’effetto sostitutivo della decisione di appello rispetto a quella di primo grado.

Il ricorso, quindi, deve essere rigettato, senza alcuna statuizione in merito alle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio  della Sesta Sezione Civile – lì 29 marzo 2012.


Il Presidente
Giuseppe Salmè

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