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lunedì 30 luglio 2012

SENTENZA DEL GIUDICE DI PACE DI POZZUOLI - OPPOSIZIONE A CARTELLA ESATTORIALE



REPUBBLICA ITALIANA

                        IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


L’avv. Italo BRUNO, Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli, ha pronunciato la seguente

S E N T E N ZA

nella causa iscritta al n. 5175/08 RG - Affari Contenziosi Civili –
avente ad oggetto:Opposizione a cartella esattoriale.
T R A(…) S., nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…), c.f. (…) - elett.te dom.to in (…) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. D. (…) che lo rapp.ta e difende giusta mandato a margine dell’atto di citazione;      
                                                                        ATTORE

E

U.T.G. – UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO di NAPOLI, in persona del Prefetto pro-tempore, dom.to in Napoli alla Via A. Vespucci, 172;                           CONVENUTO-CONTUMACE


NONCHÉ S.p.A. EQUITALIA POLIS, Commissario Governativo – Concessionario del Servizio Nazionale della Riscossione per la Provincia di Napoli, in persona del legale rapp.te pro-tempore – P.Iva 08704541005 – con sede legale in Napoli alla Via R. Bracco, 20 – elett.te dom.ta in Napoli alla Via (…) n. (…) presso lo studio dell’avv. F. (…) che la rapp.ta e difende giusta procura generale alle liti per Notar (…) in Napoli rep. n.(…) del (…);       

CONVENUTA

CONCLUSIONI Per l’attore: dichiarare l’estinzione del processo verbale sottostante la cartella esattoriale impugnata; dichiarare la nullità della cartella esattoriale per: a) decadenza del termine previsto dall’art. 17 del DPR 602/73; b) mancata indicazione dell’autorità a cui ricorrere; c) mancata sottoscrizione della cartella da parte del concessionario; vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio con attribuzione al procuratore anticipatario.

Per la convenuta: dichiarare la carenza di legittimazione passiva della Società, essendo solo il tramite per la riscossione coattiva in forza dal ruolo trasmesso dall’Ente impositore titolare del credito.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(…) S., con atto di citazione per opposizione agli atti esecutivi, ex art. 615 c.p.c., ritualmente notificato l’11/12-20/6/08 all’U.T.G. di NAPOLI ed alla S.p.A. EQUITALIA POLIS, si opponeva all’esecuzione forzata iniziata con la notifica della cartella esattoriale n. …., notificatagli il 28/12/07 dalla Spa Equitalia Polis per conto dell’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, con la quale gli veniva ingiunto il pagamento dell’importo indicato, per violazione al Codice della Strada.

Deduceva il ricorrente, di non aver mai ricevuto il processo verbale di cui alla cartella esattoriale e che la stessa doveva ritenersi nulla per: a) decadenza del termine previsto dall’art. 17 del DPR 602/73; b) mancata indicazione dell’autorità a cui ricorrere; c) mancata sottoscrizione della cartella da parte del concessionario. Instauratosi il procedimento, risultato contumace l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, si costituiva la SpA Equitalia Polis che eccepiva la sua carenza di legittimazione passiva.
Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, sulle rassegnate conclusioni, all’udienza dell’11/5/09, la causa veniva assegnata a sentenza.

                                     MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata la contumacia dell’UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO di NAPOLI ritualmente citato e non costituitosi.

Ancora in via preliminare va significato che la giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che: - Avverso la cartella esattoriale emessa ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada sono ammissibili:

- a) l'opposizione ai sensi della legge n. 689 del 1981, allorché sia mancata la notificazione dell'ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione al codice della strada, al fine di consentire all'interessato di recuperare il mezzo di tutela previsto dalla legge riguardo agli atti sanzionatori;

- b) l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cpc, allorché si contesti la legittimità dell'iscrizione a ruolo per omessa notifica della stessa cartella, e quindi per la mancanza di un titolo legittimante l'iscrizione a ruolo, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo;

- c) l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cpc, qualora si deducano vizi formali della cartella esattoriale o del successivo avviso di mora. Mentre nel primo caso, ove non sia stato possibile proporre opposizione nelle forme e nei tempi previsti dall'art. 204 codice della strada, il ricorso deve essere proposto nel termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella, determinandosi altrimenti la decadenza dal potere di impugnare - nel caso di contestazione di vizi propri della cartella esattoriale l'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi - va proposta nelle forme ordinarie previste dagli artt. 615 e ss. cpc, e non è soggetta alla speciale disciplina dell'opposizione a sanzione amministrativa dettata dalla legge n. 689 del 1981 (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9180 del 20/04/06).

Fatta questa necessaria premessa, nel merito, il ricorso non è fondato e va rigettato.

Il primo motivo del ricorso (mancata o irregolare notifica del verbale di contravvenzione) è inammissibile per essere stato proposto con il rito ordinario anziché con il rito speciale previsto dalla L. 689/81 (a cui deve necessariamente partecipare l’Ente impositore) e, oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella esattoriale (notifica cartella 28/12/07, notifica ricorso 20/6-11/12/08).

Infatti, la Cassazione ha stabilito che: - L'opposizione a cartella esattoriale emessa per il pagamento di una sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, con cui si deduca l'illegittimità di tale atto per omessa notifica del verbale di contestazione dell'infrazione, va proposta nel termine di sessanta giorni stabilito dall'articolo 204 bis cod. strada, e non in quello di trenta giorni di cui all'articolo 22 legge 24 novembre 1981 n. 689, essendo a tal fine essenziale il dato rappresentato dalla incontestata funzione recuperatoria dell'opposizione, cui va riconosciuta una sorta di forza attrattiva nei confronti della relativa disciplina impugnatoria, da cui l'esigenza di conformare la disciplina applicabile a quella dettata per l'azione recuperata. Tale conclusione, peraltro, oltre che trovare sostegno sul piano dogmatico, appare altresì quella più consona ai valori costituzionali dell'effettività della tutela giurisdizionale e dell'uguaglianza, tenuto conto che essa restituisce al ricorrente la medesima posizione giuridica che avrebbe avuto se il verbale di contestazione dell'infrazione, come previsto dalla legge, gli fosse stato a suo tempo notificato, giacché la riduzione del termine di opposizione da sessanta a trenta giorni per effetto di una mancanza - l'omessa notificazione del verbale - che è imputabile alla sola Amministrazione, finirebbe per favorire, con riferimento al termine perentorio per impugnare, la stessa amministrazione e, per converso, sanzionare il destinatario della cartella, che è chiaramente incolpevole dell'omissione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17312 del 07/08/07).

Il secondo motivo del ricorso (decadenza per inosservanza del termine di cui all’art. 17 del DPR  602/73) non è fondato.
La giurisprudenza della Cassazione è conforme nel ribadire che  In tema di sanzioni amministrative per la violazione del codice della strada, alla formazione e trasmissione dei ruoli da parte del prefetto, ai fini della riscossione delle somme a tale titolo dovute, non è applicabile la decadenza prevista dall'art. 17 del DPR 29 settembre 1973 n. 602, ma solo la prescrizione quinquennale, dettata sia dall'articolo 209 del codice della strada - relativamente alle sanzioni conseguenti alle infrazioni stradali - sia dall'art. 28 della legge 24 novembre 1981 n. 689 (Sent n. 4375 del 20/02/08; Sent. n. 23251 del 17/11/05).

Il terzo motivo del ricorso (mancata indicazione dell’autorità a cui ricorrere) non è fondato.
A pagina cinque della cartella esattoriale (quando e come il contribuente può presentare ricorso) vi è l’avvertenza che ai sensi dell’art. 22 della L. 689/81, il ricorso alla cartella esattoriale va proposto entro 30 giorni dalla notifica al Giudice di Pace del luogo dove è stata commessa l’infrazione.

Il quarto motivo del ricorso (mancata sottoscrizione della cartella da parte del Concessionario) è inammissibile.
La giurisprudenza della Cassazione è conforme nello statuire che:-  L'opposizione con la quale si denuncino vizi propri della cartella esattoriale, per carenze di elementi che essa dovrebbe contenere in base agli artt. 25 e 26 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, è qualificabile come opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., e deve quindi proporsi, come sancisce questa norma, nei venti giorni dalla notificazione dell'atto impugnato (Cassazione Sezione I Civile, sentenza 20/07/01 n. 9912).

 La natura della controversia e le ragioni che hanno portato al rigetto dell’opposizione, giustificano la compensazione delle spese del procedimento.
La sentenza è resa ai sensi dell’art. 113 c. 2 cpc ed è esecutiva ex lege.

                                             P.Q.M.

Il Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli, definitivamente pronunciando sull’opposizione proposta da (…) S. nei confronti dell’UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO di NAPOLI, in persona del Prefetto pro-tempore, e della S.p.A. EQUITALIA POLIS, in persona del legale rapp.te pro-tempore, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, EQUITATIVAMENTE, così provvede:
1) rigetta il ricorso;

2) compensa tra le parti le spese del procedimento;

3) sentenza esecutiva ex lege.

Così deciso in Pozzuoli e depositata in originale il giorno 27 maggio 2009 al n. 1560 del Mod. 16.IL

          GIUDICE DI PACE           (Avv. Italo BRUNO)

sabato 28 luglio 2012

CORTE DI CASSAZIONE - ORDINANZA N. 10540/12



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE – I

Composta dagli Ill.mi Magistrati
Dott. Giuseppe Salmì                                                  Presidente
Dott. Luigi Macione                                                    Consigliere
Dott. Renato Bernabai                                     Consigliere
Dott. Massimo Dogliotti                                              Consigliere
Dott. Pietro Campanile                                    Rel. Consigliere


Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Sul ricorso  19936 – 2010 proposto da:
E   S  (CF****), elettivamente domiciliato in Roma, presso la corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. *****, giusto mandato a margine del ricorso;

ricorrente
contro

C ;  G;

intimata
avverso la sentenza n. 2017/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/03/2012 dal Consigliere relatore Dott. Pietro Campanile.

È presente il Procuratore generale in persona del Dott. Federico Sorrentino.


Ritenuto in fatto e in diritto

Il Consigliere delegato ha depositato la seguente relazione ai  sensi dell’art. 380 bis cpc.

“Con sentenza depositata in data 5/03/2009 il tribunale di Napoli che aveva già pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in data 01/07/1989 da E S e C G disponeva l’affidamento congiunto della figlia minore, collocata in prevalenza presso la madre, ponendo a carico del padre, a titolo di contributo per mantenimento della stessa, nonché dell’altro figlio della coppia, maggiorenne e convivente con la C, cui veniva assegnata la casa coniugale, un assegno di € 950,00 , da rivalutarsi annualmente.

Veniva altresì rigettata la domanda della predetta di un assegno a titolo di contributo per proprio matrimonio, per non aver dimostrato la propria impossibilità di procurarsi redditi adeguati.

La corte d’Appello di Napoli, con la pronuncia oggetto di scrutinio, in riforma dell’impugnata decisione, considerata l’età della C, la sua dedizione alla casa e all’accudimento della prole e, quindi, le difficoltà, soggettive ed oggettive, per procurarsi un lavoro confacente alle proprie capacità, nonostante l’iscrizione nelle liste del collocamento ed i propri sforzi, che le avevano soltanto consentito, in passato, di ottenere dei modesti introiti per incarichi saltuari,valutata altresì la preminente posizione economica dell’e, ufficiale dell’Esercito Italiano in congedo, condannava costui al pagamento, con decorrenza dalla domanda, di assegno divorzile, rivalutabile annualmente, pari ad € 250,00, rigettando l’appello incidentale proposto dallo stesso E .

Avverso tale decisione l’E propone ricorso in Camera di Consiglio, imponendosene il rigetto in considerazione della manifesta infondatezza.

Invero il primo motivo, con il quale viene denunciata violazione dell’art. 5 della L. n. 898 del 1970, nonché vizio di motivazione, è inammissibile nella misura in cui contiene alcuna specifica impugnazione, nè con riferimento al principio di diritto asseritamente violato, nè con riferimento a quei passaggi della motivazione dai quali dovrebbe desumersi l’attribuzione dell’assegno divorzile “ come effetto del mero scioglimento del matrimonio”.

La corte territoriale, come verrà meglio appresso evidenziato, ha fornito una congrua motivazione in merito alle ragione della decisione, verificando la sussistenza di tutti i presupposti per l’attribuzione dell’assegno, e procedendo alla sua quantificazione in maniera corretta.

Con il secondo motivo si denuncia, sotto diversi profili, la violazione degli artic. 5 della L. n. 898 del 1970, come successivamente modificata, nonché dell’art. 2697 cc, soprattutto con riferimento all’omessa comparizione fra il tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio e quello consentito dalle condizioni attuali, nonché all’impossibilità, per la C, di reperire attività lavorativa.

Il motivo è in parte inammissibile, laddove ripropone in questa sede valutazioni riservate  al giudice del merito, ed in parte infondato.

Sotto quest’ultimo profilo, deve rilevarsi, da un lato, come nella sentenza impugnata, sia stato implicitamente quanto adeguatamente valutato  il tenore di vita in costanza di convivenza, sia con riferimento alla posizione economica  e sociale del marito, ufficiale dell’esercito, a fronte dell’attività di casalinga svolta dalla moglie (cfr. Cass. 12/07 n. 15610, secondo  cui correttamente il tenore di vita precedente viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi ed alle disponibilità patrimoniali), sia in relazione all’assetto economico vigente all’atto della pregressa separazione personale, che la Corte territoriale ha correttamente considerato, costituendo un  elemento utile di valutazione, che è suscettibile di essere apprezzato in favore della parte richiedente l’assegno, per il principio di acquisizione presente nel vigente ordinamento processuale, anche in assenza della prova da parte del richiedente della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’attribuzione dell’assegno in questione (Cass. 27/07/2005 n. 15728).

Nella sentenza impugnata, poi, risulta correttamente applicato il principio secondo cui il giudice, chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, è tenuto a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza – all’atto della decisione - dei mezzi o all’impossibilità di procurarsi per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio,.

La nozione di adeguatezza, che postula un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, impone di tener conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio (Cass. 4 /10/2010, n. 20582). 

Quanto all’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati, richiamato il principio secondo cui all’accertamento della capacità lavorativa del coniuge richiedente va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell’astrattezza, bensì in quella dell’effettività e della concretezza, dovendosi, all’uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi del caso di specie in rapporto ad ogni fattore economico – sociale, individuale, ambientale, territoriale ( Cass. 16/07/2004, n. 13169), va rilevato che la Corte territoriale ha adeguatamente evidenziato, con motivazione in esame da censure in questa sede, come, avuto riguardo all’iscrizione nelle liste di collocamento, alla pregressa dedizione alla famiglia ed all’educazione dei figli, all’accettazione in passato di attività anche precarie confacenti alle proprie attitudini di impiegata di concetto, all’età ormai non più giovane (46 anni), in un mercato del lavoro quanto mai difficile, soprattutto nella località in cui la C risiede, la stessa non sia in grado, per ragioni obiettive e, comunque, a lei non imputabili, di svolgere adeguata attività lavorativa (cfr, in motivazione, Cass. 28/03/2003, n. 4736; Cass. 16 giugno 2004, n. 23378; Cass. 12 luglio 2007, n. 15610; Cass. 29 novembre 2007 n. 24938).

Del pari infondato, ed in buona parte inammissibile, è il terzo motivo, con il quale si propongono quasi esclusivamente questioni attinenti al merito, in relazione alla decorrenza dell’assegno, i cui effetti sono stati fatti risalire nella decisione impugnata alla data della domanda. Tale statuizione, che in base all’attuale formulazione dell’art. 4 della L. n. 898 del 1970, comma 13, costituisce un potere discrezionale del giudice (Cass. 24 gennaio 2011, n. 1613), risulta sorretta da un idoneo apparato argomentativo, consistente nella constatazione dell’accertata sussistenza dello squilibrio delle posizioni reddituali sin da tale momento.

Il quarto motivo, con il quale si ripropone la domanda, già avanzata con appello incidentale, di contenere, in caso di riconoscimento di assegno in favore della moglie, nei limiti della somma già determinata dal tribunale per il mantenimento dei figli, da un lato propone inammissibilmente una sorte di compensazione fra situazioni soggettivi parimenti ed autonomamente meritevoli di tutela, dall’altro impinge contro le puntuali argomentazioni, contenute nella decisione impugnata e non censurabili in questa sede, circa la compatibilità complessiva degli oneri posti a carico dell’E, con la sua posizione reddituale.

Il quinto motivo in parte ripropone le questioni inerenti all’applicazione del principio di adeguatezza, correttamente applicato come già rilevato, dalla corte territoriale, dall’altro si duole della sovrapposizione dell’assegno di divorzio con quello di separazione, senza considerare che il secondo subentra de iure al primo e che le somme versate medio tempore dovrà tenersi conto in executivis.

Quanto al sesto motivo, costituisce una sorte di riepilogo delle doglianze già esplicate , riproposte in relazione alla violazione dell’art. 2697 c.c., valgano le superiori considerazioni.

Il Collegio  condivide al relazione, ritualmente comunicata al P.G. e notificata alla parte costituita.

Tali conclusioni non mutano all’esito dell’esame della memoria presentata nell’interesse del ricorrente, nella quale vengono in sostanza riproposte questioni, attinenti al merito, essenzialmente già valutate nella relazione. Quanto alle osservazioni inerenti alla retroattività dell’assegno, vengono poste delle questioni riservate esclusivamente alla fase esecutiva, per altro di facile soluzione alla luce dell’effetto sostitutivo della decisione di appello rispetto a quella di primo grado.

Il ricorso, quindi, deve essere rigettato, senza alcuna statuizione in merito alle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio  della Sesta Sezione Civile – lì 29 marzo 2012.


Il Presidente
Giuseppe Salmè

venerdì 27 luglio 2012

CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 12989/12 - DELIBAZIONE SENTENZA ECCLESIASTICA



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. ri Magistrati:
Dott. Francesco Maria Fioretti                        Presidente Est. -  Ud. 10/07/2012
Dott. Sergio Di Amato                         Consigliere – PU
Dott. Massimi Dogliotti                                    Consigliere
Dott. Rosa Maria Di Virgilio                Consigliere

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso 26730-2008 proposta da
B         L  (cf *****); elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Sallusto 9, presso l’Avv. ************, che lo rappresenta e difende unitamente all’Avv. ************, giusta procura in calce al ricorso
2012                                                                                      ricorrente
1182                                                               contro
    A     (cf *****), elettivamente domiciliata in Roma, Via monte Zebio 30, presso l’avv. *********, che la rappresenta e la difende unitamente all’avv. ************, giusta procura a margine del controricorso;
                                                                                              controricorrente
avverso la sentenza n. 537/2008 della Corte d’Appello di Firenze, depositata il 04/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2012 dal consigliere Dott. Massimo Dogliotti;

udito, per il ricorrente, l’avv. ******** che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’avv. ***********, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il PM, in persona del Sostituto Procuratore Generale Libertino Alberto Russo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L  B  conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze A   N, esponendo di avere a suo tempo contratto matrimonio concordatario con la N; di avere ottenuto sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio; di voler conseguire la declaratoria di efficacia in Italia di detta sentenza.

La convenuta A N, costituendosi in giudizio, si opponeva alla delibazione della sentenza di nullità del matrimonio, deducendo che era passata in giudicato tra el stesse parti sentenza di divorzio, il che costituiva ostacolo al riconoscimento di una sentenza straniera avente lo stesso oggetto.

La Corte d’Appello adita, con sentenza 14. 3-4.4.2008, respingeva la domanda del B, sul ricorso che, essendo contraria ad altra sentenza pronunziata dal giudice italiano, passata in giudicato, quella di divorzio, la sentenza del giudice ecclesiastico non poteva più essere dichiarata efficace in Italia.

Avverso la sentenza B L ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo illustrato con memoria, cui A N ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

 Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 8 co/2  lett. c) della legge 31 maggio 1995 n. 218 nonché in relazione agli artic. 324 cpc e 2909 cod. civ.

Assume il ricorrente che avrebbe errato la Corte di merito nell’aver ritenuto che sussista contrarietà tra la sentenza ecclesiastica e quella precedente passata in giudicato del giudice italiano di divorzio, atteso che l’esistenza e la validità del matrimonio se costituiscono un presupposto della pronuncia di divorzio, non costituiscono oggetto di specifico  accertamento suscettibile di determinare al formazione del giudicato.

Il Ricorso è fondato.

L’affermazione contenuta nella pronuncia n. 3345 del 1997 di questa Corte, che il giudice a quo sembra condividere, secondo la quale la cognizione della domanda di divorzio presuppone in ogni caso l’accertamento della esistenza e validità del matrimonio è , da considerare superata dal successivo orientamento espressi da questa Suprema Corte nella sentenza n. 4202 del 2001, nella quale si è posto in luce che la domanda di divorzio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio e che, ove nel giudizio di divorzio le parti non introducano esplicitamente questioni sull’esistenza e validità del vincolo – che darebbero luogo a statuizioni incidenti sullo status delle persone e, quindi,  da decidere necessariamente ai sensi dell’art. 34cpc con efficacia di giudicato- l’esistenza e la validità del matrimonio costituiscono un presupposto della pronuncia di divorzio, ma non formano oggetto di specifico accertamento suscettibile di determinare la formazione del giudicato.

Per questa ragione al sentenza di divorzio – che ha causa petendi e petitum diversi da quelli della sentenza di nullità del matrimonio, investendo il matrimonio –rapporto  e non l’atto con cui è stato costituito il vincolo tra i coniugi- ove nel relativo giudizio non si sia espressamente statuito in ordine alla validità del matrimonio (con il conseguente insorgere delle problematiche poste dalla statuizione contenuta nell’art. 8 comma 2 lett. c) dell’Accordo del 18 febbraio 1984 tra lo Stato Italiano e la Santa sede), non impedisce la delibabilità della sentenza dei Tribunali ecclesiastici, che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni concordatari assunti dallo Stato Italiano e nei limiti di essi (cfr, in tal senso Cass. n. 10055 del 2003 n. 4795 del 2005; Cass. n. 3186 del 2008).

Il collegio, non ravvisando serie ragioni per discostarsene, ritiene di dover condividere tale consolidato orientamento giurisprudenziale.

Alla stregua di quanto precede, il ricorso deve essere accolto; conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata dinanzi alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà a liquidare anche le spese del giudizio di cassazione e che nel decidere si atterrà al sopra enunciato principio di diritto

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa al sentenza impugnata e rinvia la causa , anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma il 10 luglio 2012

Il Presidente estensore
Francesco Maria Fioretti.


martedì 17 luglio 2012

SENTENZA N. 403/12 DEL GIUDICE DI PACE DI ROMA



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL GIUDICE DI PACE ROMA

UFFICIO 1

Il Giudice di Pace di Roma Avv. Oliviero Campana
Ha emesso la seguente

SENTENZA

Nella causa iscritta al n. ****/11 R.G.

TRA

Convenuti

ROMA CAPITALE, già Comune di Roma , in persona del Sindaco pro tempore, domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove, 21, presso l’Avvocatura Comunale e rappresentata e difesa dal Funzionario Dott.ssa ***, in virtù di procura in atti.

EQUITALIA GERIT S.p.A.- Agente della Riscossione  per la provincia di Roma domiciliata in Roma, Lungotevere Flaminio n. 18 (contumace)

OGGETTO

Opposizione ex art. 615 c.p.c.

FATTO E DIRITTO

Pregiudizialmente si rileva la tempestività (l’opposizione ex art. 615 c.p.c. non è soggetta a termine) e l’ammissibilità dell’opposizione introdotta ai sensi del comma 1, art. 615 cpc, alla luce della consolidata giurisprudenza della Cassazione (Cass. nn. 5871/2007, 2214/2007,5279/2002, ss.uu. 1162/2000, ss.uu. 491/2000, ss. uu. 489/2000, ss. uu. 96/2000, 1285/1999).

Sussiste, del pari, al competenza del giudice adito in relazione al credito, vantato con al cartella in esame n. 097 2010 0182104481000, trattandosi di sanzioni relative a violazioni del C.d.S.

Ciò detto, occorre osservare che la parte attrice, in questa sede, si è opposta all’esecuzione relativa alla cartella di pagamento in esame n. . 097 2010 0182104481000, sostenendo l’inesistenza del titolo esecutivo per difetto di notifica del verbale presupposto.

Sul punto si deve osservare che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4814/2008 ha chiarito che “ qualora l’opponente deduca il difetto di notifica dei verbali di contravvenzione e l’inosservanza del termine di decadenza previsto  dall’art. 201 C.d.S. o la prescrizione del diritto a riscuotere la somma pretesa all’amministrazione, l’azione, essendo diretta a contestare la pretesa dall’amministrazione, l’azione , essendo diretta a contestare al formazione del titolo esecutivo o la estinzione del diritto deve essere qualificata come opposizione all’esecuzione”.

L’azione, nel caso di specie, è stata correttamente proposta ex art. 615 cpc e l’oggetto, quindi, del presente giudizio è esclusivamente l’accertamento della legittimità della pretesa creditoria del Comune di Roma, relativa ad una pretesa violazione del C.d. S. e l’azione spiegata risulta sicuramente fondata in quanto il verbale di contravvenzione presupposto alla cartella, come si evince dalla copia della notifica prodotta agli atti, risulta irregolarmente notificato ai sensi dell’art. 139 cpc , ed, anzi,  risulta che l’asserita notifica non è stata affatto eseguita.

Infatti, dal documento prodotto agli atti risulta che in data 08.09.2006 è stata tentata la notifica del verbale e l’attrice è risultata assente nel luogo di notifica.

Essendo, però, risultata “assente” l’attrice nel luogo di notifica, è di tutta evidenza che il notificatore avrebbe dovuto procedere alla notifica dell’atto ai sensi dell’art. 140 cpc, e tale procedura di notifica non risulta essere stata eseguita.

Inoltre, l’art. 139 cpc prevede che, in assenza del destinatario dell’atto, l’ufficiale giudiziario debba consegnare l’atto stesso ad una persona di famiglia o addetta alla casa (o ufficio) ed, in assenza di tali soggetti, al portiere o ad un vicino di casa che accetti di ricevere la notifica. In mancanza di tali soggetti deve essere eseguita la notificazione ai sensi  dell’art. 140 cpc.

L’ufficiale giudiziario è, quindi, tenuto a tentare la notifica nei modi indicati e a darne contezza, in modo adeguatamente chiaro e comprensibile, nella relata di notifica, anche mediante solo l’apposizione di semplici “crocette” su un atto di notifica già prestampato o a delle sottolineature, per indicare esattamente le attività compiute nell’esecuzione della notifica.

Su punto, la Suprema Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, ha definitivamente chiarito che la notifica deve ritenersi nulla, laddove non sia fatta menzione dell’avvenuta ricerca delle ulteriori persone abilitate a ricevere l’atto ( Cass. Sez. Unite 20.04.2005 n. 8214; Cass. Sez. unite 12.10.2000 n. 1097; Cass. Lav. 10.06.1999 n. 5706; Cass. Civ. Sez. I 11.05.1998 n. 4739).

Nel caso di specie, nella relata di notifica del verbale, peraltro interamente prestampata e quindi di facile compilazione, il notificatore non ha indicato di aver compiuto ricerche e di non aver reperito indicati dall’art. 139 cpc.

Inoltre, alla luce della recente sentenza n. 3 del 11.01.2010 la Corte cost. ha risolto una questione di legittimità cost. dell’art. 140 cpc, stabilendo che l’illegittimità cost. dell’art. 140 cpc risiede nella parte in cui la norma, secondo il diritto (finora) vivente, fa decorrere gli effetti della notifica, anche per il destinatario e non solo per il notificante, dal momento in cui l’ufficiale giudiziario completa l’iter notificatorio, inviando al destinatario medesimo una raccomandata con avviso di ricevimento contenente notizia dell’avvenuto deposito.

Ed effettivamente sussiste una discrasia con quanto previsto, in tema di notifica a mezzo del servizio postale, dell’art. 149, ultimo comma cpc – per cui la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto – ovvero, secondo l’art. 8, quarto  comma, della legge 20 novembre 1982 n. 890 decorsi  dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore.

Nel caso di specie, il verbale in esame, come detto, pur essendo risultata assente la destinataria, non risulta notificato ai sensi dell’art. 140 cpc mediante deposito alla Casa comunale e non risulta neppure inviata la raccomandata contenete notizia dell’avvenuto deposito.

Da qualsiasi profilo si esamini la fattispecie, quindi, il verbale in oggetto risulta sostanzialmente non notificato.

Essendo tale motivo assorbente appare ultroneo l’esame delle altre doglianze. Si deve  infine osservare, ai fini sia della legittimazione in giudizio e sia dell’attribuzione di responsabilità, che il credito per al violazione al codice della strada risulta azionato per conto del Comune di Roma e , quindi, la domanda determinerebbe effetti diretti nella sfera giuridica dell’amministrazione con venuta; in tal senso, quindi, il Comune di Roma è legittimato passivamente.

Non può neppure dubitarsi della legittimazione passiva del concessionario/agente per la riscossione (cfr. Cass. 709/2008, 24154/2007, Cass. n. 11274/2007, 3338/2007, 27065/2005, 23701/2004, 1174/2004, 21398/2004, 17936/2003, 5277/2001, 4324/1999) sia per l’autonomia del concessionario/agente per la riscossione (di cui appresso si dirà) e sia quanto la domanda incide, in via diretta, anche nella sua sfera patrimoniale.

Va anche aggiunto che, in presenza di un’eccezione di inesistenza del titolo presupposto, non può non rilevarsi una diretta responsabilità nella vicenda del concessionario/ agente  per la riscossione. Senza poi dire che il Concessionario/agente per la riscossione, per potere agire e procedere all’esecuzione o ad atti a garanzia del credito (fermo o ipoteca), ai sensi dell’art. 12 DPR n. 602/1973, deve ricevere dalle amministrazioni interessate ed essere in possesso dei ruoli  debitamente sottoscritti dal responsabile e nel presente giudizio l’Equitalia Gerit, rimasta contumace, non ah fornito la prova della consegna dei suddetti ruoli e neppure dell’esistenza degli stessi.

Infatti, con d. lgs. 27 aprile 2001, n. 193 è stata prevista l’attribuzione diretta, al concessionario/agente, della potestà di disporre, addirittura, la misura conservativa con il solo limite del decorso del termine stabilito dall’art. 50 co. 1 DPR n. 602 del 1973 ( vale a dire il termine per l’inizio del procedimento esecutivo).

Inoltre, con l’art. 10 DPR n. 602 del 1973 al Concessionario /Agente per la riscossione è stato “affidato in concessione il servizio di riscossione”, il quale, ai sensi dell’art. 45 DPR n. 602/73 “procede alla riscossione coattiva delle somme iscritte a ruolo, degli interessi di mora e delle spese di esecuzione “.

 Con il decreto legislativo n. 193/2001 è stato modificato l’art. 86 del DPR n. 602/73 ed è stato attribuito al Concessionario /Agente il potere che “decorso inutilmente il termine di cui all’art. 50 co. 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili al debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza.”.

Ciò rende evidente che è stata riconosciuta al concessionario/Agente una facoltà discrezionale nell’adozione dei provvedimenti, anche con l’eliminazione della preventiva infruttuosità dell’azione esecutiva.

Il Concessionario/Agente per la riscossione è, quindi, un soggetto privato che esercita pubbliche funzioni, in virtù di un rapporto concessorio e, conseguentemente, agisce automaticamente e pone in essere atti di proprio impulso, disciplinati dal DPR 602/73.

Il tal senso, infatti, l’art. 59 del DPR 602/73 prevede che “Chiunque si ritenga leso dall’esecuzione può proporre azione contro il concessionario dopo il compimento dell’esecuzione stessa ai fini del risarcimento dei danni. Il concessionario risponde dei danni e delle spese del giudizio anche con al cauzione prestata, salvi i diritti degli enti creditori”.

Il definitiva, quindi, si deve pervenire alla conclusione che, nel caso di specie (mancata notifica sia dei verbali che della cartella di pagamento), sussiste una duplice responsabilità: del Concessionario/Agente per gli evidenti motivi di cui sopra e dell’amministrazione dell’interessata (nella specie il Comune di Roma), in quanto il credito illegittimo è iscritto nei ruoli esattoriali dell’amministrazione stessa e, quindi, gli effetti patrimoniali dell’ingiusta azione intrapresa si rifletterebbero direttamente  nella sfera giuridica e ciò impone sicuramente un obbligo di vigilanza e di controllo sul comportamento e sugli atti posti in essere dal Concessionario/Agente per al riscossione.

Nel caso di specie, la pretesa avanzata dall’Equitalia Gerit S.p.A., in nome e per conto del Comune di Roma, del pagamento dell’importo portato dalla cartella in esame è del tutto infondata.

In tale contesto, in accoglimento della domanda spiegata dalla parte attrice ed accertata l’estinzione del credito vantato con la cartella di pagamento n. *****************, si deve chiarire che i convenuti non hanno diritto di procedere all’esecuzione forzata per gli importi da tale atto.

Stante la soccombenza dei convenuti e la loro corresponsabilità nella vicenda, per el motivazioni di cui sopra, le spese del giudizio devono essere poste  solidamente a loro carico  e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, eccezione, istanza, deduzione disattese, così provvede:

1. Dichiara estinto il credito portato dalla cartella di pagamento n. ************* e dichiara che i convenuti non hanno diritto di procedere all’esecuzione forzata per tale titolo;

2. Condanna i convenuti, in solido, al pagamento in favore della parte opponente delle spese di giudizio liquidate nella somma complessiva di € 860,12 (di cui euro 419,00 per diritti, euro 390,00 per onorari ed euro 51,12 per spese) oltre IVA, CPA.

Roma, lì 05.01.2012
Il Giudice di Pace

(Dott. Oliviero Campana)
  

domenica 8 luglio 2012

SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO DEL 10/05/2012 - RICORSO N. 75909/01



Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 maggio 2012

Ricorso n. 75909/01 - Causa Sud Fondi S.r.l. e altri c.Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti Umani, effettuata da Martina Scantamburlo (paragrafi 26-49) e Rita Pucci (paragrafi 50-65, funzionari linguistici, e da Rita Carnevali (paragrafi 1-25) assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA SUD FONDI S.R.L. E ALTRI c. ITALIA

(Ricorso no 75909/01)

SENTENZA

(Equa soddisfazione)

STRASBURGO

10 maggio 2012

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:

Françoise Tulkens, presidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 20 marzo 2012,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (no 75909/01) presentato contro la Repubblica italiana con il quale tre società con sede in quello Stato, Sud Fondi s.r.l, Mabar s.r.l e Iema s.r.l («le ricorrenti»), hanno adito la Corte il 25 settembre 2001 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»). Dagli atti risulta che la prima ricorrente è in liquidazione.

2. Con sentenza del 20 gennaio 2009 («la sentenza in via principale»), la Corte ha ritenuto arbitraria la confisca dei beni delle ricorrenti sia rispetto all'articolo 7 della Convenzione che all'articolo 1 del Protocollo n° 1 (Sud Fondi e altri c. Italia, no 75909/01, §§ 118 e 137, e punti 1 e 2 del dispositivo, 20 gennaio 2009).

3.  Basandosi sull'articolo 41 della Convenzione, le ricorrenti reclamavano un'equa soddisfazione per i danni materiali, i danni morali e le spese.

4.  La Corte si è riservata sui danni materiali non essendo matura per la decisione la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione ed ha invitato il Governo e le ricorrenti a presentare per iscritto, entro sei mesi, le loro osservazioni su detta questione e, in particolare, ad informarla di ogni eventuale accordo da essi raggiunto (ibidem, § 149, e punto 4 del dispositivo).

5.  Le società ricorrenti e il Governo hanno depositato osservazioni e informazioni sino a fine 2011.

IN FATTO

A.  I fatti pertinenti successivi alla sentenza in via principale

1.  La revoca della confisca

6.  A seguito della sentenza in via principale che concludeva per la violazione dell'articolo 7 della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo n° 1 in ragione della confisca dei beni delle ricorrenti, il Governo (Presidenza del Consiglio dei ministri) sollecitò al tribunale di Bari la revoca della sanzione.

7.  Visto che tale istanza venne respinta il 26 ottobre 2009, il Governo propose ricorso per cassazione.

8.  L'11 maggio 2010 la Corte di cassazione accolse il ricorso e annullò con rinvio la decisione impugnata.

9.  Il 4 novembre 2010 il tribunale di Bari accolse l'istanza di revoca della sanzione e ordinò la restituzione dei terreni confiscati ponendo a carico dello Stato le spese per la trascrizione della decisione presso la Conservatoria dei registri immobiliari. I terreni sottoposti a confisca nel 2001 che dovevano essere restituiti erano i seguenti:

a.         alla ricorrente Sud Fondi srl: terreni per una superficie complessiva di 59.761 metri quadrati, interessati dal piano di lottizzazione no 141 del 1989 (che in altri documenti figura con il no 141/87), ivi compresi i terreni non edificabili ai sensi del permesso a costruire no 67/1992 e che erano stati confiscati anche conformemente alla sentenza della Corte di cassazione del 29 gennaio 2001;

b.         alla ricorrente Mabar srl: terreni per una superficie di 13.095 metri quadrati, interessati dal piano di lottizzazione no 151 del 1989, ivi compresi i terreni non edificabili ai sensi del permesso a costruire no 284/93 e che erano stati confiscati anche conformemente alla sentenza della Corte di cassazione del 29 gennaio 2001;

c.         alla ricorrente Iema srl: terreni per una superficie di 2.726 metri quadrati, interessati dal piano di lottizzazione no 151/89, ivi compresi i terreni non edificabili ai sensi del permesso a costruire no 284/93 e che erano stati confiscati anche conformemente alla sentenza della Corte di cassazione del 29 gennaio 2001.

10.  Il comune di Bari presentò un ricorso per cassazione e domandò la sospensione dell'esecuzione della decisione del tribunale. La domanda di sospensione fu respinta il 17 gennaio 2011. Avendo il comune di Bari rinunciato al ricorso per cassazione, la decisione del tribunale di Bari divenne definitiva il 4 novembre 2010.

2.  La restituzione dei terreni
11.  Con lettera datata 26 gennaio 2011, il comune di Bari invitò le ricorrenti a recarsi sui luoghi l'8 febbraio 2011 per la consegna dei suoli.

12.  Il 4 febbraio 2011 le ricorrenti inviarono la loro risposta. Esse facevano osservare che i suoli in questione erano stati trasformati in parco pubblico; che da tre anni questo parco era liberamente utilizzato dalla collettività; che vi erano delle opere permanenti funzionali all'uso del parco da parte della collettività. Le ricorrenti ritenevano che se avessero accettato la consegna dei suoli, avrebbero dovuto richiedere il permesso per costruire una recinzione. Alla luce di questi elementi, la consegna dei terreni non poteva costituire la restitutio in integrum alla quale esse avevano diritto. Pertanto, in attesa della sentenza della Corte sull'equa soddisfazione, le ricorrenti ritenevano che la consegna non potesse essere accettata.

13.  L'8 febbraio 2011, le ricorrenti non inviarono alcun rappresentante all'appuntamento fissato dal comune di Bari. Il verbale redatto lo stesso giorno attestava la conseguente impossibilità di procedere formalmente alla consegna dei suoli e ricordava che la confisca dei terreni era stata revocata con la decisione giudiziaria che ordinava la restituzione di detti terreni alle ricorrenti; che questa decisione era stata trascritta in Conservatoria; che nel 1993 le ricorrenti avevano stipulato delle convenzioni con il comune di Bari per effetto delle quali gli avevano ceduto dei terreni per la realizzazione di opere di urbanizzazione. Quanto allo stato dei luoghi del parco, il verbale attestava la presenza, tra altro, di panchine, di un sistema di illuminazione, di cabine elettriche, di un campo di basket, di giochi per bambini, di fontane, di un sistema di irrigazione, di un monumento.

14.  Con lettera del 15 febbraio 2011, il comune di Bari comunicò alle ricorrenti che la proprietà dei suoli era già stata trasferita a seguito della trascrizione in Conservatoria il 25 novembre 2010 della decisione del tribunale di Bari. La consegna dei suoli fissata all'8 febbraio era puramente formale. In effetti, il diritto di proprietà non dipendeva dall'accettazione della consegna controversa, ma dalla decisione giudiziaria controversa e della sua trascrizione. Alle ricorrenti incombevano pertanto tutti gli obblighi dei proprietari.

3.  La procedura di risarcimento danni
15.   Il 28 febbraio 2006, Sud Fondi aveva presentato al tribunale civile di Bari una domanda di risarcimento danni diretta contro il Ministero dei beni culturali, la regione Puglia ed il comune di Bari (si vedano i paragrafi 44 e 45 della sentenza in via principale). A queste autorità rimproverava sostanzialmente di aver concesso dei permessi a costruire senza la diligenza richiesta e di averle garantito che tutta la pratica era conforme alla legge. La richiedente domandava una somma corrispondente al prezzo di acquisto dei terreni (40.000.000 EUR) più le spese notarili e gli oneri finanziari, più indicizzazione e interessi fino al 2006, ovvero una somma complessiva di 150.000.000 EUR.Domandava inoltre il risarcimento dell'ulteriore danno materiale, di cui 1.275.530,26 EUR per onorari di architetti; 8.916.628,36 EUR per costi di costruzione; 1.030.761,49 EUR per tasse pagate; 230.878,15 EUR per spese pubblicitarie; 15.422,24 EUR per garanzie fideiussorie e 990.940,44 EUR per altre garanzie. Reclamava anche 152.332.17,44 EUR per mancato guadagno e 25.822.844,95 EUR per danno immateriale.

16.  Le autorità italiane convenute sostenevano che queste somme erano ingiustificate. In particolare la somma di 40.000.000 EUR reclamata a titolo di prezzo di acquisto dei suoli si riferiva non soltanto a degli atti pubblici di acquisto di terreni, ma anche ad alcuni atti di cessione delle quote di una società (Calaprice s.r.l.) che era proprietaria di detti terreni e che era controllata dagli stessi soci della società richiedente. Così, il prezzo di 35 milioni di euro per acquisire circa 39.209 metri quadrati su un totale di 59.761 metri quadrati appariva esagerato essendo questo prezzo nettamente superiore rispetto all'acquisto dei restanti terreni (i restanti 20.000 metri quadrati erano costati 5 milioni di euro). Inoltre, le parti convenute osservavano che la richiedente domandava al tempo stesso un ammontare corrispondente ai prestiti sottoscritti per poter acquistare i terreni e un ammontare corrispondente al prezzo di acquisto di detti terreni. In seguito, i terreni controversi erano ancora edificabili. Infine le convenute osservavano che i lavori di costruzione erano stati realizzati dalla società S. Matarrese spa, posseduta dalla stessa famiglia dei soci.

17.  Nell'ambito di questa procedura, il comune di Bari domandò un contro-risarcimento di 105 milioni di euro, di cui 35 milioni per danno all'immagine, 35 milioni di euro per danno all'integrità della sfera funzionale e 35 milioni per danno ambientale. Inoltre il comune di Bari domandò 1.438.895,48 EUR a titolo di rimborso per le spese di demolizione e per le altre spese di riqualificazione.

18.  La procedura dinanzi al tribunale di Bari è tuttora pendente. L'udienza per la presentazione delle conclusioni che era stata fissata al 23 marzo 2011, è stata rinviata al 15 dicembre 2011 a causa del sovraccarico dei ruoli.

19.  Per quanto riguarda la ricorrente Mabar s.r.l., quest'ultima aveva intentato una procedura separata per il risarcimento danni (paragrafo 45 della sentenza in via principale), di cui le parti non hanno fornito informazioni.

20.  La ricorrente Iema s.r.l. non aveva invece intentato procedure per risarcimento danni a livello nazionale.

4.  Le pretese dello Stato per danno ambientale
21.  Con messa in mora dell'11 gennaio 2011, lo Stato ha intimato agli amministratori delle società ricorrenti – e non a queste ultime – di versare la somma di 27.161.413 EUR più interessi a titolo di risarcimento per il danno ambientale.

B.  Il diritto interno pertinente successivo alla sentenza in via principale

1.  La Corte costituzionale
22.  Il 9 aprile 2008, nell'ambito di un processo penale che non riguardava le ricorrenti, la corte d'appello di Bari – basandosi sulla decisione sulla ricevibilità del presente ricorso – aveva adito la Corte costituzionale affinché si pronunciasse sulla legittimità della confisca che era inflitta automaticamente, anche nel caso in cui non era stata constatata alcuna responsabilità penale (vedere paragrafo 48 della sentenza in via principale).

23.  Con la sentenza no 239 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Nella parte finale del suo ragionamento ha fatto osservare che in presenza di un apparente contrasto tra una disposizione nazionale e la Convezione, quale interpretata dalla Corte, il dubbio sulla costituzionalità del diritto nazionale può porsi solo se il contrasto non si possa risolvere il problema in via interpretativa. Di fatto spetta al giudice nazionale interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla disposizione internazionale, nella misura in cui la legge lo permette. Solo ove ciò non fosse possibile il giudice nazionale può investire la Corte costituzionale della questione di incostituzionalità.

2.  La legge no102 del 2009
24.  Ai sensi dell'articolo 4ter della legge no 102 del 3 agosto 2009, fermi restando gli effetti della revoca della confisca (…) quando la Corte europea dei diritti dell'uomo ha riscontrato una violazione della Convenzione in ragione della confisca, la stima degli immobili avviene comunque in base alla destinazione urbanistica attuale e senza tenere conto del valore delle opere abusivamente costruite sui terreni confiscati. Ove sugli immobili confiscati siano stati realizzati interventi di riparazione straordinaria, miglioramenti o addizioni, se ne tiene conto nel determinare il valore all'atto della restituzione all'avente diritto. Ai medesimi fini si tiene conto delle spese sostenute per la demolizione delle opere abusivamente realizzate e per il ripristino dello stato dei luoghi.

C.  Il diritto e la prassi internazionali pertinenti
25.  I principi applicabili sono riassunti nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], no 58858/00, §§ 49-54, 22 dicembre 2009.

IN DIRITTO

26. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Argomenti delle ricorrenti
1. Gli argomenti a sostegno di un’equa soddisfazione
27. Le ricorrenti osservano che, nella sentenza pronunciata in via principale, la Corte ha constatato il carattere arbitrario della confisca dei loro beni sia sul piano dell’articolo 7 che dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Di conseguenza, esse ritengono di avere diritto a una riparazione corrispondente ad una restitutio in integrum, conformemente al diritto internazionale, sia per i terreni che per gli edifici che sono stati confiscati.

28. Secondo le stesse, la restituzione dei terreni non ha riparato al danno subito. Chiedono pertanto un’equa soddisfazione.

29. Al riguardo, fanno notare anzitutto che gli edifici esistenti al momento della confisca non sono stati restituiti in quanto sono stati demoliti. Non è stato versato loro alcun risarcimento pecuniario e, conformemente alla legge n. 102 del 2009, non ne sarà mai offerto alcuno.

30. Inoltre, i terreni oggetto della controversia sono stati materialmente trasformati a seguito della realizzazione di un parco pubblico chiamato «Parco Perotti». In tal modo, anche se il titolo di proprietà è stato nuovamente trasferito alle ricorrenti – che, di conseguenza, devono sostenerne l’onere fiscale – le stesse non hanno recuperato il pieno godimento dei loro beni per i motivi seguenti: il parco è attualmente utilizzato dalla collettività; il comune di Bari vi ha realizzato delle infrastrutture; il parco non è circondato da alcuna recinzione; il comune non ha adottato alcun provvedimento rivolto alla popolazione, e dunque la collettività continua a esercitare il possesso di fatto sui terreni e le ricorrenti si trovano nell’impossibilità giuridica di recintare l’area. In queste condizioni, le ricorrenti hanno rifiutato il reintegro nel possesso, sperando tra l’altro di evitare in tal modo di dover sostenere le spese per la manutenzione del parco.

31. Inoltre, i terreni in contestazione sono stati oggetto di provvedimenti legislativi e regolamentari che ne hanno modificato la situazione sul piano giuridico. A questo proposito, le ricorrenti fanno riferimento al decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, detto «Codice dei beni culturali e del paesaggio», che ha sottoposto i territori costieri compresi in una fascia di 300 metri dal mare a una tutela particolare, prevedendo una procedura amministrativa complessa (accordo tra la regione e l’autorità nazionale per la tutela del paesaggio) per qualsiasi domanda che comporti una modifica del territorio. Le ricorrenti fanno altresì riferimento al progetto del comune di Bari di creare un’area verde, che, nel dicembre 2010, ha portato all’approvazione di un documento programmatico preliminare che prevede una modifica del piano regolatore. Una volta approvato definitivamente tale documento, i terreni in questione diventeranno una zona verde inedificabile. Le ricorrenti non possono pertanto chiedere un permesso di costruire su tali terreni.

32. Le ricorrenti contestano la legge n. 102 del 2009 nella parte in cui la stessa pone a loro carico le spese di demolizione degli edifici, che sono stati costruiti conformemente ai permessi di costruire rilasciati loro dal comune. Esse contestano tale legge anche perché la valutazione dei terreni non viene effettuata in funzione della edificabilità degli stessi al momento della confisca, ma in funzione della nuova destinazione urbanistica decisa in seguito dal comune.

33. Esse fanno notare inoltre che il comune di Bari ha chiesto delle somme esorbitanti, che ammontano a più di 100 milioni di euro (si veda § 17 supra), quando le stesse autorità comunali sono responsabili di aver approvato le lottizzazioni e di aver accordato i permessi di costruire.

34. Le ricorrenti ricordano infine che, per ottenere i permessi di costruire, avevano dovuto, in cambio, cedere gratuitamente al comune una parte dei loro terreni, e a tal fine hanno concluso delle convenzioni nel 1993. La Corte di Cassazione aveva sottoposto a confisca tutti i terreni interessati dai piani di lottizzazione in contestazione, ivi compresi quelli appartenenti a terzi e quelli che erano stati ceduti gratuitamente al comune di Bari. Tuttavia, malgrado la decisione giudiziaria che revoca la confisca e dispone la restituzione dell’intera area oggetto del provvedimento, i terreni ceduti gratuitamente al comune di Bari non sono stati loro restituiti. Le ricorrenti avrebbero riacquisito la proprietà solo dei terreni loro appartenenti nell’aprile del 2011, ma non di quelli che, in tale data, erano già stati trasferiti al comune di Bari sulla base delle convenzioni. Per ovviare a questa situazione, secondo le ricorrenti sarebbe necessaria una delibera del comune di Bari che annulli le convenzioni del 1993, seguita da un atto pubblico che trasferisca loro nuovamente il titolo di proprietà di tali terreni. La superficie dei terreni non restituiti sarebbe di 6.539 metri quadrati su circa 13.000 metri quadrati per Mabar s.r.l.; di 36.571 metri quadrati su un totale di 59.761 metri quadrati per Sud Fondi s.r.l.; e di 1.319 metri quadrati per Iema s.r.l. Peraltro, pur affermando che i terreni oggetto di confisca sono divenuti giuridicamente inedificabili, le ricorrenti sostengono che, se non riusciranno a recuperare i terreni ceduti nel 1993, non potranno presentare nuovi progetti edilizi in quanto la superficie di cui hanno attualmente la proprietà non raggiunge la soglia minima prevista dalla legge per un progetto di lottizzazione.

2. Le richieste
35. Le tre ricorrenti osservano che l’area totale dei terreni interessati dalla confisca ammonta a circa 75.000 metri quadrati. Alla luce degli argomenti sopra esposti esse ritengono di avere diritto, in primo luogo, ad una somma corrispondente al pieno valore di mercato dei terreni in questione, tenuto conto del fatto che, all’epoca, erano edificabili.

Inoltre, chiedono alla Corte di accordare lo una somma corrispondente al valore degli edifici da loro costruiti e che sono stati oggetto di confisca.

Tali somme dovrebbero essere indicizzate e maggiorate di interessi. Dovrebbero inoltre essere esentate da imposte.

36. Le ricorrenti hanno formulato le loro richieste basandosi ciascuna su due perzie, realizzate nel dicembre 2007 dal Real Estate Advisory Group (REAG).

La prima perizia è basata sui costi effettivamente sostenuti dalle ricorrenti fino alla confisca.

La seconda perizia ha stabilito il valore di mercato dei beni confiscati al momento della perizia (2007).

37. Le ricorrenti osservano che il Governo non ha mai «seriamente» o «specificamente» contestato le somme richieste. Non ha nemmeno prodotto controperizie.

38. Per quanto riguarda la ricorrente Sud Fondi s.r.l., le sue richieste nel 2007 ammontano complessivamente a 274.000.000 EUR. Dalle due perizie emergono le informazioni seguenti.

L’area interessata dal piano di lottizzazione n. 141 era di 59.761 metri quadrati. Il permesso di construire n. 67/1992 era stato rilasciato per un volume di 131.560,88 metri cubi.

Secondo la prima perizia, il prezzo pagato, tra il 1983 e il 1994, per l’acquisto dei terreni è stato 39.660.827,38 EUR (di cui circa 35 milioni per l’acquisto delle quote della società Colaprice s.r.l. che ne possedeva circa 39.000 metri quadrati). Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i costi di costruzione, ivi compresi i salari del personale (8.916.000 EUR); gli onorari e le spese degli archietti (1.067.604,59 EUR); gli oneri di urbanizzazione (1.080.802,95 EUR); i servizi tecnici (elettricità, pubblicità), per 231.440,72 EUR; gli oneri finanziari (40.011.447,72 EUR); l’assicurazione del cantiere (14.985,79 EUR); spese varie 39.407,51 EUR; spese notarili 173.962,77 EUR; le tasse pagate, tra cui la tassa fondiaria ma anche le tasse di acquisto dei terreni (invim) (1.070.400,69 EUR).

In base alla seconda perizia il valore del terreno nel 2001 in funzione dell’evoluzione del mercato immobiliare era di 81.100.000 EUR. Gli immobili costruiti avevano alla stessa epoca un valore di mercato di 11.400.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 260.200.000 EUR e di 14.200.000 EUR.

39. Per quanto riguarda la ricorrente Mabar s.r.l., le sue richieste nel 2007 ammontano complessivamente a 65.200.000 EUR. Dalle due perizie emergono le informazioni seguenti.

L’area interessata dal piano di lottizzazione n. 151 è di 13.077 metri quadrati. Il permesso di costruire rilasciato autorizzava un volume di costruzione di 65.385 metri cubi.

Secondo la prima perizia, il prezzo pagato, tra il 1989 e il 1993, per l’acquisto dei terreni è stato 3.726.365,64 EUR. Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i costi di costruzione (2.136.570,31 EUR); gli onorari e le spese degli architetti (661.402,72 EUR); i servizi tecnici (13.255,47 EUR); gli oneri di urbanizzazione per 426.331,62 EUR; gli oneri finanziari (2.446.581,88 EUR); le spese notarili (4.305,24 EUR); le imposte pagate (401.868,02 EUR); spese varie (sicurezza, elettricità) (713.345,88 EUR). Il danno globale ammonterebbe dunque a 10.552.771,11 EUR, da indicizzare.

In base alla seconda perizia, il valore del terreno nel 2001, vista l’evoluzione del mercato immobiliare, era di 18.450.000 EUR. Alla stessa epoca, gli edifici costruiti avevano un valore di mercato di 3.300.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 61.000.000 EUR e di 4.200.000 EUR.

40. Per quanto riguarda la ricorrente Iema s.r.l., le sue richieste nel 2007 ammontano complessivamente a 13.605.920 EUR. Dalle due perizie emergono le informazioni seguenti.

L’area interessata dal piano di lottizzazione n. 151 è, secondo i periti, di 2.717 metri quadrati. Il permesso di costruire rilasciato riguardava un volume di 13.559,68 metri cubi.

Secondo la prima perizia il prezzo pagato, nel 1994, per l’acquisto dei terreni è stato di 1.394.433,63 EUR. Gli altri costi sostenuti fino alla confisca sono stati i salari (379.006 EUR); i costi di costruzione (945.268 EUR); gli onorari e le spese di architetti (47.410,74 EUR); i servizi tecnici (13.255,47 EUR); gli oneri di urbanizzazione (159.597 EUR); gli oneri finanziari (588.357,98 EUR); le spese notarili (8.063,96 EUR); le imposte pagate (47.933,66 EUR); spese varie (6.533,01 EUR).

In base alla seconda perizia, il valore del terreno nel 2001, alla luce dell’evoluzione del mercato immobiliare, era di 2.400.000 EUR. Gli edifici costruiti avevano un valore di mercato di 2.300.000 EUR. Il valore di mercato nel 2007 era rispettivamente di 10.500.000 EUR e di 2.800.000 EUR.

B. Argomenti del Governo
41. Il Governo osserva anzitutto che a livello nazionale sono pendenti due azioni di risarcimento, intentate rispettivamente dalla prima e dalla seconda ricorrente. Tuttavia, poiché tale eccezione è stata rigettata per decadenza dei termini nella sentenza pronunciata in via principale, dichiara di non voler insistere su questo punto.

42. Il Governo sostiene di aver adempiuto ai propri obblighi derivanti dalla sentenza pronunciata in via principale. Secondo lo stesso, la revoca della confisca e l’offerta di restituzione dei terreni confiscati costituisce la soluzione appropriata per la constatazione di violazione alla quale è giunta la Corte. Di conseguenza il mantenimento del ricorso non è giustificato. Le ricorrenti ammettono del resto che il comune di Bari ha offerto loro la restituzione dei beni. Se è vero che sui loro terreni vi è un parco pubblico, tuttavia gli interessati potrebbero esercitare il loro diritto di proprietà e utilizzare i beni conformemente alla destinazione urbanistica attuale. Poiché la confisca in questione è stata revocata e il comune di Bari ha disposto la restituzione dei suoli alle ricorrenti, non è dovuta alcuna somma per la perdita di proprietà dei terreni.

43. Tutt’al più, le ricorrenti potrebbero sperare di ottenere una somma corrispondente al mancato godimento dei terreni nel periodo in cui gli stessi sono stati soggetti alla confisca, ossia dal 27 giugno 2001, data dell’occupazione materiale dei terreni, all’8 febbraio 2011, data della convocazione delle ricorrenti per la consegna dei suoli. In questa ipotesi, sarebbe dunque opportuno basare i calcoli non sul valore dei terreni nel 2001, ma sul valore attuale di detti terreni, in modo tale da tenere conto del declassamento dei terreni in area verde. Il valore attuale dei terreni delle tre ricorrenti – stimato dal Governo (agenzia del territorio) – ammonta complessivamente a 51.594.000 EUR. L’interesse legale applicato su tale somma nel periodo di indisponibilità dei terreni è pari a 8.631.500 EUR e rappresenta il danno derivante dal mancato godimento dei beni.

44. Le ricorrenti non possono in nessun caso avvalersi della sentenza resa in via principale per sostenere che hanno diritto alla restituzione di terreni edificabili o a una somma corrispondente al valore di mercato di questi ultimi. In effetti, i permessi di costruire rilasciati e le lottizzazioni autorizzate non erano conformi alla legge, e del resto la Corte non ha dichiarato che lo fossero. Inoltre, se è vero che la Corte ha concluso per l’illegalità della confisca sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, è altrettanto vero che essa ha formulato anche delle considerazioni sotto il profilo della proporzionalità. Secondo il Governo, tali considerazioni rimuovono il carattere arbitrario della sanzione e implicano che gli edifici confiscati sono stati giustamente demoliti e non vi è stato alcun indennizzo.

45. Per quanto riguarda gli edifici costruiti dalle ricorrenti e successivamente confiscati e demoliti, queste ultime non hanno il diritto di chiedere un risarcimento. In effetti, le opere costruite contrastavano con le disposizioni di legge. Di conseguenza, le spese di demolizione (1.571.752,73 EUR) devono essere poste a carico delle ricorrenti, così come le spese per il «ripristino dello stato legittimo dei suoli» (24.716,81 EUR). Nelle sue ultime osservazioni, il Governo afferma di non ignorare il fatto che la situazione controversa deriva sin dall’inizio dal comportamento del comune di Bari, che ha accordato dei permessi di costruire mentre il diritto di costruire non esisteva. Le ricorrenti hanno certamente sostenuto delle spese per costruire gli immobili «nella fiducia del permesso accordato dal comune», ed hanno subito «la confisca illegittima». Tuttavia, non possono chiedere il valore che i beni avrebbero avuto sulla base di una destinazione non conforme alla legge.

46. Il Governo ha indicato che la Corte dei Conti ha avviato un’inchiesta sul comportamento dell’amministrazione comunale di Bari nel periodo in cui è divenuta proprietaria dei terreni confiscati e sulla decisione presa da quest’ultima di destinare i terreni alla creazione di un parco pubblico. Secondo lo stesso, ciò dimostra che il diritto italiano dispone di strumenti di controllo sull’azione delle pubbliche amministrazioni.

47. Per quanto riguarda l’affermazione delle ricorrenti secondo la quale i terreni ceduti gratuitamente al comune di Bari nel 1993 non saranno loro restituiti, il Governo non ha fornito alcuna precisazione. Ha indicato che il comune di Bari aveva disposto la restituzione «dei terreni».

48. Il Governo ritiene di aver anche adempiuto agli obblighi derivanti dalla constatazione di violazione per quanto riguarda le misure generali. Fa riferimento a questo riguardo alla sentenza della Corte costituzionale n. 239 del 2009, che ha indicato che i giudici devono interpretare la disposizione che prevede la confisca in maniera conforme alla Convenzione. Inoltre, fa riferimento all’articolo 4 della legge n. 102 del 2009, che ha introdotto i criteri di risarcimento delle persone i cui beni sono stati illegittimamente confiscati.

49. Quanto alle richieste quantificate dalle ricorrenti, il Governo le definisce «ingiustificate e stravaganti», dal momento che non vi è la prova di un nesso di causalità diretto o indiretto tra la violazione constatata e il danno dedotto. Ciò vale in particolare per gli oneri finanziari, che si riferiscono all’attività dell’impresa, per gli oneri di urbanizzazione, per le imposte pagate, per le spese notarili e le spese di progettazione. Inoltre, la valutazione dei terreni sembra eccessiva. In nessun caso le ricorrenti possono ricevere un risarcimento per mancato guadagno, ossia per il profitto che avrebbero ottenuto dalla vendita degli immobili dalle stesse costruiti sui terreni in questione.
C. Decisione della Corte

1. Danno materiale
50.  La Corte rileva innanzitutto che il Governo non intende reiterare l’eccezione relativa all’esistenza di procedimenti di risarcimento pendenti a livello nazionale. Essa rammenta di avere già rigettato una tale eccezione per decadenza dai termini nella sentenza in via principale (paragrafo 78 della sentenza in via principale). Nella misura in cui le argomentazioni del Governo riguardino la possibilità per le prime due ricorrenti di ottenere un’equa soddisfazione ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione a livello interno, ammesso che esista una tale possibilità, la Corte giudica improbabile che dette ricorrenti ricevano un doppio indennizzo, dato che i giudici nazionali, nella valutazione della causa, terrebbero inevitabilmente conto dell’importo concesso dalla Corte. Ad ogni modo, tenuto conto delle ripercussioni dell’ingerenza controversa, secondo la Corte, sarebbe assolutamente irragionevole chiedere alle ricorrenti di attendere l’esito dei procedimenti nazionali e di sostenerne le spese (Serghides e Christoforou c. Cipro (equa soddisfazione), n. 44730/98, § 29, 12 giugno 2003; Scordino c. Italia (n. 2), n. 36815/97, § 62, 15 luglio 2004).

51.  In merito alla questione se le ricorrenti non abbiano più niente da pretendere stante la revoca della confisca dei loro terreni, la Corte ricorda di avere concluso, nella sentenza in via principale, per l’arbitrarietà della confisca controversa sotto il profilo sia dell’articolo 7 della Convenzione sia dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (paragrafi 118 e 137 della sentenza in via principale). All’origine della duplice constatazione di violazione vi è il carattere penale della sanzione (Sud Fondi S.r.l. ed altri c. Italia, n. 75909/01, (dec.), 30 agosto 2007) e il fatto che essa è stata irrogata nonostante la sentenza di assoluzione, motivata, nella fattispecie, dall’inevitabilità e scusabilità dell’errore commesso dalle ricorrenti nell’interpretazione della legge. Il reato contestato alle ricorrenti – lottizzazione abusiva – non rispondeva ai criteri di chiarezza, accessibilità e prevedibilità. Era quindi impossibile prevedere l’irrogazione di una sanzione (paragrafi 112 e 114 della sentenza in via principale). La confisca controversa non aveva una base legale ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione (paragrafo 118 della sentenza in via principale) ed era arbitraria anche ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (paragrafo 137 della sentenza in via principale).

52.  Una volta stabilito che la confisca controversa non rispondeva al requisito di legalità, la Corte ha ritenuto opportuno proseguire l’esame del motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 1 anche sotto il profilo della proporzionalità. Al riguardo, essa ha affermato che, anche quando – a differenza del presente caso – la sanzione irrogata non sia in contrasto con il principio di legalità, esisterebbe un problema che comporta la violazione di tale disposizione, per i motivi esposti nei paragrafi 138-142 della sentenza in via principale.

Così, nell’ipotesi in cui le ricorrenti fossero state condannate per lottizzazione abusiva e fosse stata disposta la confisca dei loro beni, quella sanzione penale avrebbe soddisfatto il requisito di legalità, ma sarebbe stata censurabile sotto il profilo della proporzionalità ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Contrariamente a quanto sostiene il Governo, le precedenti considerazioni sotto il profilo della proporzionalità non rimettono affatto in discussione le conclusioni tratte riguardo alla violazione del principio di legalità. Le tesi del Governo al riguardo devono quindi essere respinte.

53.  La Corte rammenta che una sentenza di constatazione di violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico di porre fine alla violazione e di rimuoverne le conseguenze così da ripristinare, nei limiti del possibile, la situazione a questa precedente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI). In linea di principio, gli Stati contraenti parti in una causa sono liberi di scegliere i mezzi di cui avvalersi per conformarsi ad una sentenza della Corte che constati una violazione. Tale potere di apprezzamento quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza riflette la libertà di scelta che accompagna l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà sanciti (articolo 1). Se la natura della violazione consente una restitutio in integrum, spetta allo Stato convenuto provvedervi. La Corte non ha, infatti, né la competenza né la possibilità pratica di realizzarla essa stessa. Se, invece, il diritto nazionale non consente o consente solo in parte di rimuovere le conseguenze della violazione, l’articolo 41 autorizza la Corte a concedere, se del caso, alla parte lesa la soddisfazione che ritenga appropriata (Brumărescu c. Romania (equa soddisfazione) [GC], n. 28342/95, § 20, CEDU 2000-I).

54.  Come ha ricordato poco fa (§ 51), la Corte ha affermato nella sentenza in via principale che la confisca controversa non rispondeva al requisito di legalità. L’atto dello Stato convenuto che la Corte ha ritenuto contrario alla Convenzione non era, nel caso di specie, né un’espropriazione alla quale sarebbe mancato, per essere legittima, solo il pagamento di un’adeguata indennità (a contrario, Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, §§ 99-104, CEDU 2006-V), né un’espropriazione indiretta iniziata secondo una procedura d’urgenza e sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità (a contrario, Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 102 e 103, 22 dicembre 2009). Nel caso di specie, siamo in presenza di una misura arbitraria delle autorità italiane che ha colpito i beni delle ricorrenti. Pertanto, nella fattispecie, l’indennizzo da fissare dovrà dare l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze della misura controversa (Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 31524/96, §§ 34-36, 30 ottobre 2003; Scordino c. Italia (n. 1) [GC], sopra citata, § 250). Al riguardo, la giurisprudenza internazionale, giudiziaria o arbitrale, fornisce alla Corte una fonte d’ispirazione. Infatti, sebbene essa riguardi più particolarmente l’espropriazione di imprese industriali e commerciali, i principi da essa stabiliti in questo campo restano validi per situazioni come quella che ci occupa. In particolare, con sentenza del 13 settembre 1928 nella causa relativa alla fabbrica di Chorzów (Causa relativa alla fabbrica di Chorzów (domanda di risarcimento) (nel merito), Raccolta delle sentenze della CPGI, serie A n. 17), la Corte permanente di giustizia internazionale ha giudicato:

«(...) la riparazione deve, nei limiti del possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ripristinare lo stato che verosimilmente sarebbe esistito se il detto atto non fosse stato commesso. Restituzione in natura, o, se questa non è possibile, pagamento di una somma corrispondente al valore che avrebbe la restituzione in natura; se necessario, concessione di un risarcimento danni per le perdite subite ed eventualmente non coperte dalla restituzione in natura o dal pagamento sostitutivo di questa; sono questi i principi a cui deve ispirarsi la determinazione dell’importo dell’indennità dovuto a causa di un fatto contrario al diritto internazionale.»

55.  La Corte rileva che, dopo la sentenza in via principale, le autorità nazionali hanno revocato la confisca dei terreni interessati dai piani di lottizzazione e ordinato la loro restituzione. Tuttavia, la decisione del tribunale di Bari del 4 novembre 2010 ha riparato solo in parte il danno subito dalle ricorrenti, cosicché queste possono aspirare legittimamente ad un’equa soddisfazione. Infatti, sotto diversi aspetti la loro situazione rimane invariata.

56.  In primo luogo, le ricorrenti non hanno alcuna possibilità di recuperare i fabbricati confiscati, in quanto essi sono stati demoliti. Non hanno neanche la possibilità di essere risarcite in quanto la legge n. 102 del 2009 esclude una tale ipotesi. Ora, la Corte ritiene che i costi sostenuti per la costruzione di detti fabbricati costituiscano una componente della restitutio in integrum (Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, §§ 39-40, serie A n. 330-B) e si basa sulle perizie delle ricorrenti. Pertanto, essa prenderà in considerazione tali costi e li indicizzerà, respingendo tuttavia le richieste non direttamente connesse alla duplice violazione constatata e dipendenti piuttosto dall’attività delle società ricorrenti e dal rischio legato all’attività imprenditoriale, quali, tra le altre, gli oneri finanziari e le spese notarili sostenute per l’acquisto dei terreni in questione.

57.  In secondo luogo, la Corte osserva che in effetti i terreni interessati dai piani di lottizzazione nn. 141 e 151 e oggetto di confisca, compresi quelli già ceduti al comune di Bari, sono menzionati nella decisione del tribunale di Bari del 4 novembre 2010, che ne ha disposto la restituzione alle ricorrenti ed è stata trascritta nel registro catastale (§ 9). In linea di principio, le ricorrenti ne hanno quindi recuperato il titolo di proprietà e nessuna somma è dovuta per la perdita dei terreni in quanto tale. Tuttavia, le interessate affermano di avere recuperato, a tutt’oggi, solo i terreni di cui erano ancora proprietarie nel 2001, al momento della confisca. Per ottenere la restituzione dei terreni ceduti nel 1993 occorrerebbe una deliberazione del comune di Bari che annulli le convenzioni di cessione e un atto pubblico di trasferimento. Quanto al Governo, esso non ha fornito precisazioni al riguardo, ma ha osservato che le lottizzazioni ed i permessi di costruire controversi erano contrari alla legge e che il comune di Bari è responsabile di avere concesso questi ultimi malgrado l’inesistenza del diritto di costruire.

In questa situazione, la Corte non vede come potrebbero perdurare gli effetti delle convenzioni di cessione di una parte dei terreni concluse nel 1993, quando le lottizzazioni alle quali tali convenzioni erano legate sono contrarie alla legge. Le ricorrenti non hanno escluso la possibilità di ottenere la restituzione di quella parte dei terreni, ma essa sembra dipendere dalla volontà dell’amministrazione locale di dare piena esecuzione alla decisione giudiziaria del tribunale di Bari. Pertanto, secondo la Corte, è opportuno prendere in considerazione il danno derivante dall’indisponibilità dei terreni a partire dal momento della loro confisca.

Per la stima di tale danno, ci si deve basare sul probabile valore dei terreni all’inizio della situazione controversa, determinato sulla base delle perizie presentate dalle ricorrenti (Terazzi S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 27265/95, §§ 36-37, 26 ottobre 2004), tenendo quindi conto della loro edificabilità. A parere della Corte, il danno derivante dall’indisponibilità dei terreni può essere compensato dal versamento di una somma corrispondente all’interesse legale per l’intero periodo applicato sul controvalore dei terreni così determinato (Elia S.r.l. c. Italia (equa soddisfazione), n. 37710/97, § 25, 22 luglio 2004).

58.  In terzo luogo, quanto ai terreni che le ricorrenti possedevano ancora al momento della confisca, non è in discussione la restituzione della loro proprietà. Tuttavia, la Corte osserva che, a tutt’oggi, un parco pubblico consente l’accesso della popolazione su tali terreni. Le ricorrenti non hanno denunciato l’impossibilità di ottenere dal comune di Bari il permesso di recintarlo, permesso da loro non richiesto, ma hanno sottolineato che l’accesso dei cittadini al parco e la presenza di infrastrutture del comune sui terreni ostacola il pieno godimento dei loro beni. Agli occhi della Corte, le ricorrenti non hanno diritto ad una somma per la perdita del terreno, ma unicamente ad una somma per il danno derivante dall’indisponibilità assoluta dei loro beni nel periodo che va dalla confisca alla restituzione, somma da calcolarsi secondo il procedimento enunciato nel precedente paragrafo 57. Va inoltre tenuto conto dell’indisponibilità relativa dei terreni in questione che persiste vista l’esistenza del parco pubblico.

59.  Tenuto conto della diversità degli elementi da prendere in considerazione per il calcolo del danno materiale nonché della natura della causa, la Corte giudica opportuno fissare una somma complessiva basandosi sulla sua stima degli elementi di cui sopra. La Corte decide quindi di concedere a titolo di riparazione del danno materiale:

•          alla ricorrente Sud Fondi s.r.l. la somma di 37.000.000 EUR, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;

•          alla ricorrente Mabar s.r.l. la somma di 9.500.000 EUR, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;

•          alla ricorrente Iema s.r.l. la somma di 2.500.000 EUR, oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.

60.  La Corte non tiene conto delle altre richieste delle ricorrenti. In particolare, seppure convinta della rilevanza del danno economico derivante dalle recenti decisioni dell’amministrazione comunale di Bari in materia urbanistica (§ 31), essa ritiene che tali decisioni non siano direttamente connesse con la violazione constatata nella sentenza in via principale.

61.  Inoltre, la Corte sottolinea che, in virtù dell’articolo 46 della Convenzione, le Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie in cui sono parti, sentenze sulla cui esecuzione è incaricato di vigilare il Comitato dei Ministri. Ne consegue, in particolare, che lo Stato convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati le somme concesse a titolo di equa soddisfazione, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, eventualmente, individuali da adottare nel proprio ordinamento giuridico interno al fine di porre fine alla violazione constatata dalla Corte e di cancellarne nei limiti del possibile le conseguenze (De Clerck c. Belgio, n. 34316/02, § 97, 25 settembre 2007; Zafranas c. Grecia, n. 4056/08, §§ 50-51, 4 ottobre 2011). Nella causa Zafranas sopra citata, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte aveva affermato che lo Stato convenuto doveva astenersi dal rivendicare l’indennità di espropriazione già concessa ai ricorrenti.

62.  Nel caso di specie, secondo la Corte, il versamento delle somme indicate nel precedente paragrafo 59 deve essere accompagnato dalla rinuncia da parte delle autorità italiane alle loro pretese nei confronti delle società ricorrenti. Infatti, le ricorrenti sono esposte in particolare al rischio di dovere rimborsare all’amministrazione le spese di demolizione dei loro edifici e quelle di riqualificazione. La prima ricorrente rischia inoltre di essere costretta a pagare i danni, stimati in oltre 100 milioni di euro, al comune di Bari (§ 17). La Corte ribadisce di avere concluso, nella sentenza in via principale, che le autorità italiane non hanno rispettato il requisito di legalità disponendo la confisca controversa e ritiene che debbano pagarne le conseguenze.

63.  In conclusione, tenuto conto delle circostanze particolari del caso di specie, la Corte ritiene che la rinuncia da parte delle autorità nazionali alle pretese nei confronti delle ricorrenti (§ 62) combinata con il versamento delle somme sopra menzionate (§ 59) possa porre fine in maniera effettiva alla constatata violazione degli articoli 7 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1.

2.  Spese
64.  Le ricorrenti non hanno chiesto il rimborso delle spese sostenute dopo la sentenza in via principale. Nessuna somma deve quindi essere concessa a tale titolo.

3.  Interessi moratori
65.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,

1.         Dichiara
a.         che lo Stato convenuto deve astenersi dal chiedere alle ricorrenti il rimborso delle spese di demolizione dei fabbricati confiscati e delle spese di riqualificazione, e che non deve dare seguito alle domande di risarcimento rivolte contro la prima ricorrente nel procedimento civile dinanzi al tribunale di Bari;

2.         Dichiara
a.         che lo Stato convenuto deve versare alle ricorrenti, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme a titolo di risarcimento del danno materiale:

ii.         37.000.000 EUR (trentasette milioni di euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, alla ricorrente Sud Fondi s.r.l.;

iii.         9.500.000 EUR (nove milioni cinquecentomila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, alla ricorrente Mabar s.r.l.;

iv.        2.500.000 EUR (due milioni cinquecentomila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, alla ricorrente Iema s.r.l.;

3.         che, a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

1.         Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 10 maggio 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Tulkens
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere