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giovedì 17 maggio 2012

DECRETO DELLA CORTE DI APPELLO DI ANCONA - EQUA RIPARAZIONE



LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA

riunita in Camera di Consiglio e composta dai seguenti Magistrati:

Dott. Stefano FORMICONI                                   Presidente
Dott. Bruno CASTAGNOLI                                    Consigliere
Dott. Paolo Giuseppe VADALA’                             Consigliere estensore


Visti gli atti del procedimento n. ****/2010 R.G. V. G.
promosso da: ********

rappresentata e difesa dall’Avv. ***** del foro di Vasto, in forza di delega in calce al ricorso introduttivo ed elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte d’Appello  di Ancona;

nei confronti di ****

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del legale rappresentante pt rappresentato e difeso ex lege dall’ Avvocatura Distrettuale dello Stato di Ancona, legale domiciliataria;

OGGETTO: ricorso ai sensi della Legge 24 marzo 2001, n.89.

HA pronunziato, a scioglimento della riserva, di cui al verbale di udienza del 19 ottobre 2011, il seguente

DECRETO

Premesso in fatto:

Con ricorso, depositato il 15 ottobre 2010, ***** conveniva in giudizio il Ministero della Giustizia ai sensi degli artt. 3 e 6 della L. 24 marzo 2001, n. 89 e succ. modd. Per il mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, instaurato con atto di citazione, notificato il 4 agosto 1998 nei confronti del ******, davanti al Tribunale di Ravenna, deducendo la cattiva esecuzione di cure dentistiche e ortodontiche sulla propria persona.

Il  procedimento di primo grado, nel quale il convenuto aveva chiamato in causa anche la ***** Assicurazione Spa, dopo una serie di rinvii, anche d’ufficio, era stato definito con sentenza n. 8 del 2003, depositata il 13 gennaio 2003, con la quale era stata parzialmente accolta la domanda dell’attrice e condannato il convenuto al risarcimento del danno nei suoi confronti.

Il giudizio di appello, instaurato con atto di citazione notificato il 25 febbraio 2004, era stato definito con sentenza, depositata il 4 marzo 2010, con la quale il predetto Trib. dichiarava la responsabilità del medico, condannando la compagnia assicuratrice, quale terza chiamata, a tenerlo indenne delle somme che doveva pagare alla danneggiata a titolo di risarcimento.

La causa, ritenuta non particolarmente complessa, aveva avuto una lunga durata e nelle more del giudizio, si erano verificati numerosi rinvii, anche d’ufficio.

Rappresentava il ricorrente che il danno, da addebitarsi interamente all’organizzazione giudiziaria, provato in re ipsa ed avente  contenuto esclusivamente patrimoniale, era determinabile da parte di questa Corte, secondo i parametri stabiliti della Corte Europei dei Diritti dell’Uomo e recepiti dalla giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione (proponendo una liquidazione, nella misura di euro  11. 400,00  complessivi).

Premesso quanto sopra, parte ricorrente formulava domanda di risarcimento.

All’udienza del 19 ottobre 2011 questa Corte, udito il procuratore della ricorrente ed in assenza del rappresentante del Ministero della Giustizia, non costituitosi  in giudizio, riservava la decisione.

Ritenuto in diritto:

Non si ritiene necessario disporre l’acquisizione degli atti del procedimento a monte, apparendo sufficienti per la valutazione della durata eccessiva del procedimento, dedotta dalla parte, gli atti già prodotti dal ricorrente.

Deve preliminarmente osservarsi che la L. 24 marzo 2001, n. 89, di cui in questa sede parte ricorrente richiede l’applicazione, individua tre parametri, ai quali rapportare la fattispecie concreta, ai fini della verifica della violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardi dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848, relativa alla ragionevole durata del processo: la complessità del caso, la condotta delle parti ed il comportamento delle autorità procedenti o di quelle che debbano, comunque, contribuire alla definizione del procedimento.

Il giudice italiano, inoltre, è vincolato dal disposto, di cui all’art. 2, lett. a) della L. n. 89 del 2001, secondo il quale può essere liquidato soltanto il danno, riferibile al periodo eccedente i termine ragionevole (v. Cass. n. 17838 del 4 luglio – 7 sett. 2005, per cui “detta diversità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo e dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana mediante la ratifica della Convenzione Europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 paragrafo I della Convenzione medesima (art. 111, comma 2 della Cost. nel testo fissato dalla L. cost. n. 2/1999).

Nella fattispecie concreta, deve considerarsi che dalla notifica della citazione introduttiva del procedimento “a monte”, sino al momento del deposito della sentenza di secondo grado, la causa è durata, complessivamente, undici anni e sette mesi.

I tempi fisiologici di durata dei processi, sulla base della giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia, devono ritenersi determinabili nella misura di anni tre per il primo grado e di anni due per il secondo grado, tenuto conto anche del fatto che la controversia non appare contrassegnata da una particolare complessità e che al lunghezza del procedimento appare dovuta a ragioni, che sembrano indipendenti da inattività delle parti o del Giudice, apparendo, per contro, collegate alle disfunzioni organizzative, che comportano la consueta lunghezza dei procedimenti civili.

Il danno non patrimoniale, dovuto alla non ragionevole durata del processo è identificabile nello stato d’incertezza e di disagio, che l’eccessiva durata del processo determina nelle persone, interessate al giudizio.

In assenza di elementi, tali da escludere il pregiudizio, normalmente connesso all’eccessiva durata del procedimento, considerando anche che la sentenza di primo grado ha parzialmente accolto al domanda originaria, formulata dall’attuale ricorrente, si ritiene opportuno effettuare la liquidazione di tale pregiudizio nella misura di euro 750,00 per ogni anno, successivo al quinquennio e soltanto per i primi tre anni di ritardo (secondo l’orientamento di cui all’ordinanza della Suprema Corte del 2010, n. 17922, che questa Corte ritiene di seguire) e di euro  1.000,00 per ogni anno , a decorrere dal quarto ritardo.

Il ritardo effettivo, rispetto ai parametri previsti dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, è di quattro anni e sette mesi, considerato il periodo, intercorrente tra il deposito della sentenza di primo grado e la notifica dell’atto di citazione in appello e quello, normalmente necessario per l’espletamento della CTU.

Si ritiene, di conseguenza, di liquidare alla ricorrente la somma di euro 4.000,00 oltre gli interessi legali, dalla data della presente pronunzia in saldo, in ragione della liquidazione, effettuata all’attualità e quindi secondo un criterio di valore.

Le spese seguono la soccombenza es i liquidano in dispositivo, con compensazione nella misura di ½ , tenendo conto  della differenza tra quanto richiesto e quanto liquidato.

P.Q.M.
La Corte,
definitivamente pronunziando sul ul ricorso, ex art. 3 L. 4arzo 01, n. 89 proposto da **** nei confronti del Ministro della Giustizia, depositato in data 15 ott. 2010, così provvede:
condanna il ministero della Giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, dell’importo di euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre interessi nella misura legale sullo stesso importo dalla pronuncia al saldo;

condanna  altresì l’Amministrazione convenuta a rifondere alla ricorrente, le spese di lite, liquidate in euro 500,00 per diritti e 800,00 per onorari, oltre a tutti gli accessori di legge;

spese compensate nella misura ½ ;

menda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art 5 della L. n. 89/2001 e per la comunicazione del presente decreto.

Ancona, così deciso nella Camera di consiglio del 15 ottobre 2011.

Il PRESIDENTE
(Dott. Stefano Formiconi)






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