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lunedì 2 aprile 2012

MEMORIA DIFENSIVA DELL'AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO - EQUA RIPARAZIONE



AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI NAPOLI

CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

4^ Sez. Civile

Memoria difensiva

Per

Il Ministero della Giustizia, in persona del rappresentante legale pt, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale  dello Stato di Napoli, nei cui uffici ope legis domicilia alla via A. Diaz, 11,

Contro

******** rappresentato e difeso come in atti, nel procedimento introdotto con ricorso notificato unitamente a pedissequo decreto di fissazione dell’udienza in epigrafe per la discussione, in punto: equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo.

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Dato per noto il tenore del ricorso introduttivo, si costituisce con il presente atto il Ministero ut supra, per chiedere la reiezione di ogni avversa pretesa per i seguenti

Motivi

In via preliminare la difesa erariale fa presente che con sentenza n. 21380/2011 la Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione attinente all’applicabilità della prescrizione alle controversie in materia di irragionevole durata del processo ex lege n. 89/2001.

In tale contesto l’intervenuta prescrizione parziale e totale del credito ex adverso vantato viene sollevata in via tuzioristica.

Nel merito

Ai fini della valutazione della ragionevolezza del termine di durata del processo, la legge 89/01, all’art. 2 II comma, recependo i canoni elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, individua tre parametri di riferimento, costituiti dalla complessità del caso, dal comportamento delle parti e del giudice del procedimento nonché di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o contribuire.

Se ne desume che il termine ragionevole – lungi dall’essere un concetto assoluto, individuabile tutte le volte che il processo si protragga per un lungo tempo, peraltro non predeterminato dalla legge – è un concetto di relazione, che si può ritenere realizzato solo se la durata del giudizio appaia eccessiva rispetto ai richiamati parametri.

Fuori dai profili di nullità sopra richiamati, sembra pertanto a questa difesa che – visti i limiti posti dall’art. 2, comma 1 e particolarmente comma 2, l. 89/01 – fin dall’atto introduttivo il ricorrente debba, sul piano dell’onere di allegazione e prova, chiarire in che modo la vicenda processuale integri i presupposti di applicabilità della norma invocata, ossia perché la durata del giudizio debba ritenersi eccessiva se valutata alla stregua dei parametri indicati dalla legge.

Non solo, infatti, la mera circostanza che il processo si sia protratto per diversi anni sicuramente non è idonea in sé e per sé a determinare in capo al ricorrente il diritto ad un’equa riparazione, ma oltretutto essa neppure legittima in alcun modo presunzioni di sorta in ordine alla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2, comma II legge cit., che devono necessariamente essere dedotti, oltre che provati, dal ricorrente in base al principio onus probandi incumbit ei qui dicit.

Pertanto, alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. 1^ sez. civ. 13 dicembre 2007 n. 26161) tale circostanza va valutata nell’individuazione dei parametri di riferimento.

L’azione ex l. 89/01 è modellata sulla falsariga di quella risarcitoria ex art. 2043cc, come si desume sia dal rinvio all’art. 2056 cc per l’individuazione dei criteri rilevanti ai fini della quantificazione della riparazione, sia dal fatto che la pretesa all’indennizzo sia condizionata, esattamente come accade per la pretesa risarcitoria da illecito aquiliano, all’esistenza di un danno, legato da un nesso causale ad un illecito, costituito nella specie dalla violazione dell’art. 6 I comma della Convenzione sotto il particolare profilo del superamento del termine ragionevole.

Quanto all’elemento soggettivo (dolo o colpa), sebbene lo stesso non sia espressamente menzionato dalla legge, è evidente che è dalla legge stessa implicitamente richiesto, nel momento in cui all’art. 2 vengono introdotti fra gli elementi per la valutazione della sussistenza dell’illecito (la violazione dell’art. 6 I comma della Convenzione) i comportamenti della parte e dell’Autorità e, quindi, inevitabilmente il grado di diligenza che li connota: il giudice è infatti chiamato a considerare, come meglio si vedrà infra, se il ritardo sia o non sia imputabile al richiedente l’indennizzo o all’autorità giudicante (per quest’ultima, poi, vi è anche la prospettiva di cui all’art. 5 l. 89/01 della responsabilità disciplinare o per danno erariale, anch’esse condizionate all’esistenza dell’elemento soggettivo).

La ragionevolezza del termine di durata del processo è, in altre parole, clausola generale che necessariamente si commisura anche ad un modello di agente (per tale intendendosi l’ufficio giudiziario nel suo complesso) la cui condotta si ispiri alla comune diligenza professionale, con la conseguenza che il superamento del termine ragionevole non potrà – fuori da inaccettabili automatismi – cogliersi se non mediante l’applicazione alla fattispecie concreta del detto modello astratto.

Il richiamo contenuto nell’art. 2056 cc all’art. 1227, comma II, cc comporta, inoltre, attribuzione di rilevanza all’eventuale colpa del danneggiato, il che lascia intendere che, per aversi responsabilità, debba aversi anche, da parte del danneggiante, uno stato soggettivo quanto meno di colpa.

Pertanto, alla stessa stregua di chi agisce a mente degli artt. 2043 e ss., anche chi richieda l’equa riparazione a norma della l. 89/01, potrà vedere riconosciuto il diritto azionato solo se ed in quanto alleghi e dimostri la sussistenza di un danno causato da quel particolare illecito che è il superamento del termine ragionevole, il quale ricorre allorché sia dedotto e provato:

- che il caso non fosse di particolare complessità;

- che il comportamento della parte sia stato tale da non aver cagionato il protrarsi del giudizio, e che il comportamento dell’autorità giudicante, o di altra autorità pure coinvolta nel giudizio, sia stato invece causa del superamento del termine ragionevole.

Per quanto concerne l’an della pretesa, si riporta ai criteri in proposito elaborati dalla giurisprudenza interna ed internazionale, ed in particolare dalla Ecc.ma Corte adita, cui si rimette, con conseguente liquidazione del chiesto indennizzo, da determinarsi, peraltro, nel quantum, a stregua dei criteri in proposito elaborati dalla ormai costante giurisprudenza della Corte medesima.

Ritenuto, peraltro, che la concludente Amministrazione – giova rammentarlo – non ha modo di soddisfare spontaneamente l’avversa pretesa indennitaria, ed è per legge necessitata ad attendere il provvedimento di liquidazione della Corte d’Appello, e che, nella fattispecie che ne occupa, non si oppone all’avversa pretesa, ben potrà disporsi l’integrale compensazione delle spese di lite (recte: nulla per le spese), in considerazione della condotta processuale non ostativa della medesima Amministrazione.

In proposito è agevole il rinvio alla giurisprudenza pressoché univoca che esclude la stessa possibilità di ravvisare una soccombenza rilevante ai fini della condanna alle spese ex art. 91 cit., in tutti i procedimenti di volontaria giurisdizione (ex plurimis, Cass. Civ., I, 15 marzo 2001, n. 3750).

Da tutto quanto precede, conclusivamente, emerge la illegittimità della condanna alle spese giudiziali, nei procedimenti di volontaria giurisdizione, quale il presente, quanto meno allorquando l’Amministrazione intimata, costituita o meno che sia, non si sia opposta, come nella specie, alla pretesa del ricorrente, per la parte tuttora vitale, non prescritta. Se disposta condanna alle spese, si potrà tenere conto delle modalità indicate dalla Suprema Corte con sentenza n. 27731/09.

Alla stregua di quanto precede, si rassegnano le seguenti

conclusioni

Piaccia all’Ecc.ma Corte adita rigettare il ricorso perché non provato in tutti i suoi elementi; in via ulteriormente subordinata determinare il danno equitativamente, tenendo conto dei fattori su di esso incidenti evidenziati nelle suesposte difese; tenere in ogni caso conto dei limiti imposti dall’art. 3 VII comma l. 89/01.

Si offre in comunicazione ricorso introduttivo della lite.

Si chiede in ogni caso, ove venga invece accolto il ricorso, stante la natura delle questioni trattate provvedendo alla eventuale liquidazione dell’indennizzo ex adverso richiesto a stregua dei criteri di cui in narrativa, in ogni caso disponendo l’integrale compensazione delle spese di lite, ovvero disponendosi nulla per le spese.

Napoli, 1 febbraio 2012

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Avvocato Distrettuale dello Stato