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lunedì 21 novembre 2011

CORTE D'APPELLO DI NAPOLI - EQUA RIPARAZIONE - DECRETO N. 302/07 V.G.



LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI

PRIMA SEZIONE CIVILE

riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati:

dott. Luigi Martone      Presidente
dott. Giancarlo de Donato        Consigliere
dott. Magda Cristiano              Cosigliere rel.

nel procedimento camerale avente ad oggetto Equa riparazione ex L. n. 89/01 promosso

DA

*********** rappresentata e difesa dall’avv. *********** con la quale elettivamente domicilia presso la Cancelleria della Corte d’Appello di Napoli.

CONTRO

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, In persona del Ministro in carica, rappresentato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domicilia ope legis in Napoli, via Diaz n. 11;

sciolta la riserva assunta all’udienza camerale del 4.4.08
ha pronunciato il seguente

DECRETO

************, con ricorso depositato il 16.02.2007 e ritualmente riassunto, ex art. 307 cpc, il 25.01.2008, ha lamentato l’eccessiva durata del procedimento civile promosso nei suoi confronti, dinanzi al Tribunale di Salerno, da *********, ex art. 2932 cc, per ottenere sentenza produttiva degli effetti del contratto preliminare di compravendita di un immobile stipulato inter partes, nel quale ella si è costituita spiegando domanda riconvenzionale di risoluzione contrattuale.

La ricorrente ha dedotto che il giudizio – introdotto con citazione notificata il 21.2.97, alla data del 16.2.07 era ancora pendente ed ha chiesto, pertanto, la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di € 15.000 a titolo di risarcimento del danno morale subito a seguito dela violazione del principio di ragionevole durata dei procedimenti giudiziari.

Il Ministero della Giustizia si è costituito e, pur non contestando l’an della pretesa, ha chiesto la compensazione delle spese del procedimento.

Tanto premesso, questa Corte osserva:

Secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, la responsabilità dello Stato per l’eccessiva durata di un procedimento giudiziario può sussistere anche se non sia ravvisabile colpa nella gestione del procedimento stesso da parte del giudice al quale esso è stato affidato; infatti l’obbilgo assunto a livello internazionale dalla Repubblica Italiana con la sottoscrizione e ratifica della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la cui violazione è oggi sanzionata nell’ambito del diritto interno dalla previsione dell’equa riparazione disciplinata dalla legge n. 89/2001, impegna lo Stato unitariamente considerato in tutti i suoi poteri ed in tutte le sue articolazioni strutturali, sicché tutti devono, nei limiti delle loro attribuzioni, concorrere all’adempimento di tale obbligo, con la conseguenza che lo Stato risponde  non solo per il comportamento negligente degli organi giudiziari, ma, più in generale, per il fatto di non aver provveduto ad organizzare il proprio sistema giudiziario in modo da consentirgli di soddisfare con ragionevole velocità la domanda di giustizia (V. sentenza 12.10.92, Boddeart c/ Belgio; id. 25.6.87, Baggetta c/ Italia); ciò del resto trova oggi diretto riscontro costituzionale nel testo novellato dell’art. 111 Cost. il quale dispone che la legge (e cioè l’ordinamento nel suo complesso considerato e non solo l’istituzione giudiziaria) assicura la ragionevole durata del processo.

Ciò premesso, risulta di solare evidenza che il tempo trascorso dall’inizio del procedimento presupposto, introdotto con citazione del 21.2.97 e tuttora pendente in primo grado, abbia dato luogo alla violazione del diritto costituzionalmente garantito della ricorrente alla ragionevole durata del processo.

L’art. 2 della legge n. 89/01 non fissa, per il vero, il periodo di tempo massimo superato il quale la durata del processo diventa irragionevole, ma demanda all’interprete l’onere di determinarlo, desumendolo, ai sensi del secondo comma della norma citata, dalla complessità del caso e dal comportamento del giudice e delle parti, nonché di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione.

In sostanza, al fine di tale determinazione, si dovranno valutare, nella fattispecie concreta, la natura delle questioni giuridiche trattate, il numero delle parti in causa, la quantità e la complessità degli scritti difensivi depositati in giudizio e delle prove da espletare, la necessità dei rinvii ai fini istruttori.

Nel caso di specie il giudizio, che ha ad oggetto due contrapposte domande, l’una volta a conseguire gli effetti di un contratto preliminare e l’altra ad ottenere la risoluzione del medesimo contratto, non appare di speciale complessità, in quanto richiede una valutazione in fatto in ordine all’imputabilità dell’inadempimento all’una o all’altra delle parti in causa.

Tenuto conto anche dei parametri che possono ricavarsi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che tende a ritenere irricevibili i ricorsi concernenti procedimenti che abbiano avuto una durata inferiore a tre anni in primo grado (salvi i casi di procedimenti speciali o caratterizzati da particolari esigenze di celerità, in cui la soglia viene abbassata) e considerati i tempi tecnici necessari per i vari adempimenti processuali, si può giungere allora alla conclusione che per il processo di primo grado tale durata sarebbe stata ragionevole.

In processo ha invece avuto, sino al deposito del ricorso, una durata di dieci anni.

In proposito va peraltro osservato che, per quanto la CEDU, una volta superato il limite della ragionevolezza, consideri ai fini della liquidazione dell’indennizzo l’intera durata del procedimento, tanto non è consentito al giudice italiano, posto che l’art. 2, c. 3°, lett. a), della legge n. 89/2001, espressamente sancisce che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo riconosciuto dal nostro diritto interno per l’eccessiva durata dei processi, rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Pertanto, finché il legislatore non riterrà di modificare tale dettato normativo (che non contrasta né con le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute [art. 10 Cost.] né con i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario [art. 11 Cost.] né, infine, con la Convenzione, ma solo con un orientamento ermeneutico della Corte di Strasburgo, che non può prevalere su di una espressa disposizione di legge) i giudici italiani non potranno che attenervisi.
Dagli atti del processo, che la ricorrente ha integralmente allegato in fotocopia, non si evincono ritardi alla stessa imputabili. Il periodo eccedente, che va considerato ai fini dell’indennizzo dovuto alla ricorrente, risulta pertanto di 7 anni.

La ********* ha chiesto la liquidazione del solo danno morale, che, secondo i parametri di valutazione della CEDU, cui il giudice nazionale è tenuto ad adeguarsi, costituisce conseguenza ordinaria del prolungarsi del giudizio ordine i termini di ragionevole durata, sicché può essere escluso solo in quei casi in cui specifici elementi di fatto dimostrino che la durata del procedimento corrisponde all’interesse del ricorrente (Cass. ss. uu., 26.01.2004 n. 138).

Tale danno non può essere oggetto che di valutazione equitativa, nell’operare la quale occorre attnersi, in linea di massima, al metro di valutazione adottato dalla CEDU in casi analoghi, dal quale ci si può discostare solo in misura ragionevole (Cass. ss. uu., 26.1.2004 n. 1340).

Tenuto conto della rilevanza della materia del contendere, avente ad oggetto un bene immobile produttivo di reddito, e considerato che la ricorrente non ha più la disponibilità del bene e non ne ha neppure ricevuto il pagamento, appare equo liquidare per tale titolo la somma di € 10.500 al valore attuale della moneta, in ragione di € 1500 per ogni anno di eccedenza della durata del procedimento rispetto a quella ragionevole. Su tale somma decorrono gli interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, nei minimi tariffari e tenuto conto dell’importo liquidato, in favore del difensore antistatario.

PQM

La Corte d’Appello di Napoli: condanna il Ministero della Giustizia a pagare ad ************ la somma di € 10.500 ciascuna oltre agli interessi legali dal 16.2.07 al saldo effettivo;

condanna il Ministero a pagare all’avv. *********** le spese del procedimento, liquidate …………

Napoli 4.4.08

Il Consigliere est.                                                    IL Presidente


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