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lunedì 17 ottobre 2011

CORTE D'APPELLO DI NAPOLI - EQUA RIPARAZIONE - DECRETO N. 7102/2008 V.G.




LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

III SEZIONE CIVILE

riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati:

dott. Francesco Saverio Azzariti Fumaroli                               Presidente
dott. Edoardo Vitale                                                               Consigliere rel.
dott. Giancarlo Di Ruggiero                                                     Consigliere
ha emesso il seguente

DECRETO

nel procedimento camerale iscritto al n. 7102/2008 V.G. avente ad oggetto: equa riparazione ex lege n. 89/01, vertente

FRA

*************** nata a ***************, rappresentata e difesa dall’avv. Gennaro De Natale come da procura a margine del ricorso introduttivo e presso di lui elettivamente domiciliata in Salerno, alla via Ogliara n. 36

RICORRENTE

E

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore

RESISTENTE

FATTO

Con ricorso depositato il 3 dicembre 2008 la ricorrente ha esposto di avere citato il Comune di Salerno dinanzi al Tribunale della Stessa città con atto notificato il 23 febbraio 1999, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a causa di un sinistro stradale occorso il 7 novembre 1998; che dopo la costituzione dell’Ente, il giudizio era stato rinviato più volte; che era stato dunque superato il termine di ragionevole durata del processo.

Dopo avere enunciato i principi in materia di ragionevole durata del processo e di equa riparazione, la parte ricorrente ha concluso perché la Corte voglia condannare il Ministero della Giustizia al risarcimento integrale dei danni nella misura di euro 25.000,00, o in quella diversa ritenuta rispondente a giustizia, nonché al pagamento delle spese processuali, da attribuire al procuratore antistatario.

Nonostante la regolare notifica, in data 14 maggio 2009, del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti in camera di consiglio, l’Amministrazione della Giustizia non si è costituita.

All’udienza camerale del 24 settembre 2009 la Corte si è riservata di provvedere.

DIRITTO

Dichiarata innanzitutto la contumacia del Ministero della Giustizia, ritualmente citato e non comparso, la Corte rileva quanto segue.
            A scioglimento della riserva, si osserva  che il Giudice adito per il risarcimento dei danni, a norma della legge 89/2001, deve verificare quanta parte della durata del processo sia da ascrivere a responsabilità dell’amministrazione della giustizia nel suo complesso (Giudice ed altra autorità chiamata a contribuire alla sua definizione) e quanta alla condotta delle parti (art. 2 comma 2 legge n. 89/2001). 

In tema di valutazione relativa alla durata non ragionevole del processo, il Giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89, una volta individuato l’intero arco temporale del processo, deve operare una selezione tra i segmenti temporali attribuibili alle parti e quelli riferibili all’operato del giudice, sottraendo i primi alla durata complessiva del procedimento; ciò che risulta da tale sottrazione costituisce il tempo complessivo imputabile al giudice, inteso come “apparato giustizia” (ossia come complesso organizzato di uomini, mezzi e procedure necessari all’espletamento del servizio), in relazione al quale deve essere emesso il giudizio inerente alla ragionevolezza o meno della durata del processo, senza che sia tuttavia possibile considerare tutto il tempo riferibile all’apparato giudiziario come tempo eccedente la durata ragionevole, atteso che ogni processo, anche il più celere, ha una durata fisiologica collegata allo svolgimento delle varie fasi, delle attività che vi si compiono e degli eventuali diversi gradi di giudizio in cui esso si è articolato, sicché è necessario verificare di volta in volta se le singole attività che sono state in esso compiute siano o no tali da giustificarne la concreta durata, non ravvisandosi, né sul piano normativo, né nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo una regola di identificazione quantitativa certa e predefinita di durata media, oltre la quale la durata debba considerarsi sempre irragionevole (Cass. n. 1921 del 3 febbraio 2004).

            Su tale premessa, va certamente ascritta al sistema giudiziario nel suo complesso la concessione di rinvii con intervalli concreti anche cospicui; il tempo decorso per rinvii d’ufficio e per gli aggiornamenti dell’udienza connessi allo svolgimento di attività istruttorie; le pause dovute ad adempimenti referendari ed elettorali; gli intervalli per scoperture dell’organico del personale negli uffici; i periodi di ferie.

            Vanno, al contrario, scomputati, a titolo esemplificativo, gli intervalli corrispondenti a rinvii richiesti per astensione della classe forense, oppure a rinvii disposti, senza adeguata giustificazione nelle esigenze della difesa, su istanza di parte, il tempo trascorso tra il deposito di una sentenza e la proposizione del gravame, quello di sospensione o interruzione del processo, nonché lo stesso periodo costituente il termine ragionevole di durata del procedimento, come prevede l’art. 2, comma 3, lettera a), legge 89/2001.

            Orbene, premesso che questa Corte ritiene di aderire all’orientamento della Cassazione secondo cui, sulla falsariga della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, va determinato in tre anni il termine medio di durata ragionevole del processo, con riferimento al primo grado di merito (cfr. Cass. civ. 26 aprile 2005 n. 8585), occorre, nel caso in esame, considerare quanto segue.

            E’ documentato: che il giudizio civile menzionato in narrativa, instaurato da **************** con atto notificato il 30 aprile 1999 dinanzi al Tribunale di Salerno, era pendente alla data di proposizione della domanda di riparazione (3 dicembre 2008). Infatti la causa risulta rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza dell’11 novembre 2009.

            Tenuto conto, da un lato, dei parametri che è possibile ricavare dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e, dall’altro, che nel caso in esame la durata ragionevole del processo può essere fissata in anni tre, deve registrarsi un ritardo di (9 anni, 7 mesi e 3 giorni meno 3 anni =) 6 anni, 7 mesi e 3 giorni rispetto al termine di durata ragionevole.

            Occorre tuttavia tener conto che da tale arco di tempo vanno espunti i seguenti periodi, non imputabili all’amministrazione della Giustizia:

            - 5 novembre 2001 / 25 febbraio 2002 (3 mesi e 20 giorni), dovuto a rinvio chiesto dal procuratore del Comune in considerazione dell’assenza del procuratore dell’attrice;

            - 25 febbraio 2002 / 26 giugno 2002 (4 mesi e 1 giorno), dovuto a rinvio ex art. 309 cpc;

            - 8 ottobre 2008 / 3 dicembre 2008 (1 mese e 25 giorni), dovuto a rinvio ex art. 309 cpc (al 13 gennaio 2009).

            Complessivamente, 9 mesi e 16 giorni, che riducono a 5 anni, 9 mesi e 17 giorni il ritardo da considerare ai fini dell’equa riparazione.

            Giova a questo punto precisare, in ordine all’esistenza del danno da durata irragionevole, che la sofferenza di un pregiudizio non patrimoniale per la lungaggine del processo, avendo natura meramente psicologica, non è suscettibile di ricevere un’obiettiva dimostrazione, onde l’interprete deve prendere atto che esso si verifica nella normalità dei casi secondo l’id quod plerumque accidit.

Ciò comporta che, una volta accertata e determinata la sussistenza della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della legge n. 89/01, il Giudice deve, in via ordinaria, ritenere sussistente il danno non patrimoniale. E, poiché nel caso di specie non sono state in nessun modo addotte, né acquisite circostanze intese a smentire la precisata consequenzialità, tale danno va riconosciuto e liquidato (cfr., per tutte, Cass. civ. sez. un. n. 1338/04 e, più di recente, Cass. civ. n. 28863/05).

            Tanto premesso, ai fini della determinazione del quantum debeatur, questa Corte, uniformandosi al parametro quantitativo offerto dal Supremo Collegio (cfr. Cass. civ. 23 aprile 2005 n. 8568), avuto riguardo a tutti gli elementi di valutazione emergenti dalle connotazioni, oggettive e soggettive, proprie del caso in esame, ed alla stregua dei rilievi svolti e della documentazione in atti, stima equo determinare la considerata riparazione in ragione di euro 5.796,00, somma espressa in termini monetari attuali.

            In considerazione dell’esito e delle peculiarità della controversia, appare rispondente ad equità compensare fra le parti ½ delle spese processuali sostenute dalla parte ricorrente, liquidate come in dispositivo, ponendone a carico dell’Ente convenuto, attesa la sua soccombenza, la residua metà, con attribuzione ai procuratori antistatari.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli così provvede:

1) dichiara nei sensi specificati in motivazione la violazione dell’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e, per l’effetto, il diritto di *********** a un’equa riparazione;

2) condanna il Ministero della Giustizia in persona del Ministro pro tempore, al pagamento, in favore della medesima ************, della somma di euro 5.976,00 oltre agli interessi al tasso legale dalla pubblicazione del presente decreto al saldo;

3) condanna altresì il predetto Ministero alla rifusione della metà delle spese di lite, che liquida, per l’intero, in euro 40,00 per spese, euro 140,00 per diritti ed euro 200,00 per onorari, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario avv. Gennaro De Natale;

4) compensa fra le parti la residua metà di dette spese.

Napoli, 8 ottobre 2009


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