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mercoledì 28 settembre 2011

AVVISI AGGRESSIVI DELLE SOCIETA’ DI RECUPERO CREDITI



Oggi ci occupiamo di un caso particolarmente interessante, caratterizzato dalle modalità ingannevoli ed aggressive con cui spesso e volentieri viene attuato.


Alcune società di recupero crediti, infatti, al fine di rendere più incisivo l'avviso di pagamento, cercano di dargli, per così dire, una veste diversa, facendolo apparire come un atto giudiziale.


Riportiamo un tipico avviso di pagamento, che potrebbe presentarsi così:


PREAVVISO DI VENDITA GIUDIZIARIA


Si avverte che, ai sensi degli artt. 483 e 633 cpc e ss., si promuoverà procedimento monitorio e, accolta la domanda ex art. 641 cpc, procedimento esecutivo avanti il Tribunale contro:


************  *********
nell’abitazione sita in                             Via ***************, 13
*** ************




 per la vendita forzata ai sensi degli artt. 517 e 513 cpc di danaro contante, oggetti preziosi, mobili e autoveicoli di Vs. proprietà rinvenuti nell’abitazione e nelle sue adiacenze.


Si comunica che previo ordine del Tribunale si procederà all’asporto dei suddetti beni, se necessario con l’intervento della forza pubblica e forzando la porta in caso di assenza.


E’ CONSENTITO SOSPENDERE LA PROCEDURA N. ******


con versamenti, entro 5 giorni da oggi, di acconti sul Vs. debito.

Prendere immediatamente contatto con Sig.**********


Napoli, 10.01.2007

Cofactor (firmato)



Un caso simile a questo è stato affrontato e risolto, qualche anno fa, dalla giurisprudenza di merito (Tribunale di Roma, 11 marzo 2003, Corriere Giuridico, 9/2003, 1195).


In quel periodo, una società di recupero crediti aveva inviato delle comunicazioni congegnate in modo  da far credere ai destinatari (debitori) che di lì a poco sarebbe iniziato un vero e proprio procedimento coattivo di esazione del debito:  in parole povere, un pignoramento.

Fra l’altro, la società aveva chiesto, in aggiunta al credito originario, una maggiorazione di spese a titolo di costi di esazione, che avevano fatto quasi decuplicare il credito.

Il Tribunale, in primo luogo,  ha ritenuto  scorretta la mancata indicazione, nelle comunicazioni inviate dalle società di recupero crediti, di tutti quegli elementi idonei ad individuare il credito del debitore, ad es: l’importo esatto, l’epoca di maturazione, gli estremi del contratto intercorso, l’indicazione del creditore, ecc.

La mancata indicazione di questi elementi, infatti,  rende molto difficile al debitore la possibilità di verificare l’esatta portata delle somme richieste e fornire la prova dell’eventuale avvenuto pagamento (anche parziale).

In secondo luogo, Il Tribunale di Roma ha affermato che non possono essere accollati al debitore i costi del contratto di cessione del credito: quindi, se una società si rivolge ad una società di recupero per la riscossione dei crediti, i costi sostenuti da quest’ultima devono essere pagati dalla società che le ha affidato l’incarico e non dal debitore/consumatore.

In tutti questi casi, il comportamento del creditore è congegnato in modo tale da prospettare un pregiudizio grave come conseguenza dell’inadempimento e da indurre il destinatario dell’avviso al pagamento di importi ben superiori a quelli dovuti in forza del contratto originario.

domenica 18 settembre 2011

Comparsa per pali Telecom aggiornata al 18 settembre 2011




GIUDICE DI PACE DI SALERNO

Note illustrative

Per: ______________, rapp.to e difeso dall’avv. Gennaro De Natale.

Contro: Telecom Italia SpA.

1) Legittimazione attiva e principio del ne bis in idem.
A) Non sussiste né carenza di legittimazione attiva né violazione del principio del ne bis in idem, come affermato dalla convenuta. Infatti, come si rileva dalla produzione della stessa convenuta, il giudizio precedentemente instaurato è relativo ad un palo installato dalla Telecom su un altro fondo.

2) Competenza.
Il giudizio è stato rettamente incardinato dinanzi al Giudice di Pace di Salerno per i seguenti motivi:

A) In primo luogo, si riporta il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione in un caso identico a quello per cui è causa: Non si può considerare causa che sorge da un rapporto obbligatorio avente ad oggetto un immobile quella nella quale il proprietario o possessore tende ad ottenere un risarcimento dal terzo che ha materialmente danneggiato il suo immobile o ha limitato il godimento ... La domanda con cui l'attore ha chiesto di essere risarcito del danno subito per avere la Telecom infisso sul suo fondo pali a sostegno di una linea telefonica  senza che fosse stata in precedenza costituita in suo favore la pertinente servitù non è domanda relativa a bene immobile e va decisa secondo equità perché il risarcimento è stato chiesto per somma inferiore a quella stabilita nel secondo comma dell'art. 113 cpc.  Proposte al giudice di pace una domanda che rientra nella sua competenza per valore e va decisa secondo equità ed una domanda riconvenzionale che appartiene alla competenza del tribunale, la domanda principale subisce modificazione del proprio regime di competenza in quanto tra la domanda principale e quella riconvenzionale vi sia connessione. Tale connessione non sussiste quando la decisione sulle due domande non richieda l'accertamento di identici fatti costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi, sì che l'accoglimento od il rigetto dell'una non implichi rigetto e accoglimento dell'altra. Non sussiste rapporto di connessione tra la domanda di risarcimento del danno derivato dal comportamento della Telecom che abbia stabilito di fatto la servitù sul fondo dell'attore e la domanda riconvenzionale della stessa Telecom proposta per ottenere la costituzione coattiva di tale servitù. La connessione manca perché accoglimento e rigetto delle due domande sono indipendenti tra loro (Cass. 26/2/2003 n. 2889).

            B) In secondo luogo, nel presente giudizio non si verte in materia di servitù, in quanto  la servitù telefonica di "passaggio con appoggio" di fili e simili non costituisce servitù in senso tecnico per mancanza del requisito della proprietà (cioè della esistenza di un fondo dominante), ma - come la definisce autorevole dottrina - "un diritto reale di uso "rientrante" tra i pesi di diritto pubblico di natura reale gravanti su beni" (Cass. 22/01/1988 n. 481).  
Infatti, come è agevole osservare, la copiosa giurisprudenza allegata dalla convenuta si riferisce a pronunce della Suprema Corte nei confronti dell’Enel, a favore della quale esiste la previsione normativa della servitù coattiva di elettrodotto, le cui norme, come si dirà, non sono applicabili per le linee telefoniche.

3) Prescrizione ed illecito permanente.
Né, d'altronde, può parlarsi di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, dal momento che l’illiceità della condotta della convenuta perdura nell’attualità, mantenendo ancora oggi la Telecom tali impianti senza il consenso del  proprietario del fondo.

Si configura, in tale ipotesi, un illecito a carattere permanente, il quale perdura sino a quando non venga rimosso l’impianto o cessi il suo esercizio (Cass. SS. UU. 14/3/1991 n. 2724): l'illiceità del comportamento lesivo non si esaurisce nel primo atto, ma perdura nel tempo, sino a quando permanga la situazione illegittima posta in essere e nella quale si concreta una ininterrotta violazione dell'altrui interesse: il diritto al risarcimento del danno, pertanto, sorge con l'inizio del fatto illecito generatore del danno stesso e con questo persiste nel tempo, rinnovandosi di momento in momento, con la conseguenza che la prescrizione, secondo la regola del suo computo (art. 2935 cc), ha inizio da ciascun giorno rispetto al fatto già verificatosi ed al corrispondente diritto al risarcimento (Cass. 13/1/1983 n. 252; Cass. 20/11/1993 n. 11474).

Dall'applicazione di detti principi al caso di specie consegue che il diritto al risarcimento del danno si è rinnovato dopo la pubblicazione della sentenza di condanna n. _____________ del ____________ del Giudice di Pace di Salerno e tutt’ora perdura.


4) Inammissibilità della domanda riconvenzionale.
La domanda riconvenzionale è inammissibile per inesistenza della servitù.

Secondo dottrina e giurisprudenza dominanti, la cd servitù di passaggio con appoggio, nonostante il nomen juris, non è da ricondurre al novero delle servitù in  senso  tecnico, ma  a  quello  delle limitazioni  legali  della  proprietà (Mario Alberto Di Nezza, Nota a TAR 23/11/1998 n. 3526, Sez. V Campania Napoli, Riv. Giur. Edilizia, 2000, 1, 139).

Infatti, la servitù telefonica di "passaggio con appoggio" di fili e simili non costituisce servitù in senso tecnico per mancanza del requisito della proprietà (cioè della esistenza di un fondo dominante), ma - come la definisce autorevole dottrina - "un diritto reale di uso" rientrante "tra i pesi  di  diritto  pubblico  di  natura  reale  gravanti  su  beni (Cass. 22 gennaio 1988 n. 481).  L'esclusione  della natura di servitù è affermata, ma con diverse e più convincenti motivazioni di quella relativa all'impossibilità di individuare un fondo dominante, anche da G. GROSSO e G. DEIANA, Le servitù prediali, in Trattato di diritto civile italiano, dir. da F. Vassalli, vol. V,  T. II, Torino 1955, 1279-81, secondo i quali le  servitù telefoniche e telegrafiche, non annoverate dal codice tra le servitù coattive, non sono, al pari dell'elettrodotto coattivo, servitù prediali in senso  tecnico, costituendo invece veri e propri diritti reali di godimento sui generis (v. anche A.M. SANDULLI, Appoggio [dir.  amm.], in Enc. dir., II, 1958,  807 ss.; ID., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 811 ss. e B. BIONDI, Le servitù, in Trattato di diritto civile e commerciale dir. da CICU e F.  MESSINEO, vol.  XII, Milano, 1967, 780).

Infatti, a tal proposito è stato autorevolmente sostenuto che  la servitù di elettrodotto è una servitù tipica, che non può avere contenuto diverso da quello espressamente previsto e disciplinato dalla legge speciale, con la conseguenza che il possesso corrispondente all’esercizio della servitù, o determina, ricorrendo tutti gli altri requisiti, l’acquisto dell’unica servitù di elettrodotto riconosciuta dall’ordinamento, oppure non conduce all’acquisto di alcun diritto reale: l’usucapione può porsi accanto ai titoli di acquisto della servitù espressamente previsti dalla legge speciale … ma non può dar luogo ad un rapporto diverso da quello previsto e disciplinato dalla legge speciale (Cass. 16/04/1981 n. 2306).

Le c.d. servitù telefoniche e telegrafiche, pertanto, non possono esser ricondotte alla categoria delle servitù coattive. Non sussiste, pertanto, in capo al titolare un diritto potestativo alla loro costituzione: esse potranno nascere soltanto a seguito di accordo tra le parti ovvero attraverso l'esercizio di un potere autoritativo.

Infatti, le norme relative alle servitù coattive dirette a soddisfare le esigenze dell'agricoltura dell'industria e i bisogni della vita hanno carattere di diritto singolare e non sono pertanto suscettibili di applicazione analogica. Ne deriva che qualora non ricorrano le specifiche figure di servitù coattive previste dal codice civile (art. 1033 - 1057) ovvero da leggi speciali, non può essere invocata la disciplina dell'art. 1032 ss. c.c. trattandosi di disposizioni sociali non estensibili al di fuori dei casi espressamente considerati (Cass. 13 ottobre 1992, n. 11130); ed ancora: La società concessionaria del servizio telefonico, al fine della installazione sul fondo altrui di linee ed impianti, non può invocare la disciplina dell'art. 1032 c.c. in tema di costituzione di servitù coattive, trattandosi di disposizioni speciali, non estensibili all'infuori dei casi espressamente considerati… L’art. 233 DPR 29 marzo 1973 n. 156, che prevede la costituzione della servitù di telefonia solo per contratto o per atto amministrativo autoritativo, esclude che la società concessionaria del servizio possa invocare la disciplina dell’art. 1032 cc in tema di costituzione di servitù coattive, la cui tipicità (numerus clausus) non ne permette l’estensione fuori dei casi espressamente considerati (Cass. SS. UU., 16 gennaio 1986, n. 207; Cass. 2/12/1998 n. 12245).

Inoltre, a differenza delle servitù volontarie che possono avere ad oggetto una qualsiasi "utilitas", purché ricavata da un fondo a vantaggio di un altro fondo appartenente a diverso proprietario, le servitù prediali coattive formano un "numerus clausus", sono cioè tipiche avendo ciascuna il contenuto predeterminato dalla legge, sicché non sono ammissibili altri tipi di al di fuori di quelli espressamente previsti da una specifica norma per il soddisfacimento di necessità ritenute meritevoli di tutela (Cass. 25 gennaio 1992, n. 820).  

Qualora infine la società concessionaria del servizio telefonico, installando sull'altrui proprietà cavi, appoggi o altre apparecchiature destinate, in assenza dei due soli ricordati titoli legittimanti (specificare quali sono), anche o esclusivamente al servizio di terzi proprietari o inquilini di altri immobili, imponga, in via di fatto, un peso corrispondente all'esercizio di una servitù di telefonia, incorre in un'attività lesiva del diritto di proprietà. Un siffatto comportamento legittima il privato a chiedere il risarcimento del danno per l'indebita compressione del suo diritto dominicale e, se non sia nemmeno assistito da piani esecutivi debitamente approvati e dichiarati di pubblica utilità ai sensi dell'art. 185 del D.P.R. cit., e non sia quindi ricollegabile all'esercizio di poteri autoritativi della pubblica amministrazione, ad agire altresì per la rimozione delle opere abusive (Cass. S.U. 26 luglio 1994 n. 6962; Cass. 19 gennaio 1991 n. 517; Cass. 16 gennaio 1986 n. 207; Cass. 3 ottobre 1989 n. 3963).

Infine, è opportuno ricordare che la società concessionaria del servizio telefonico, al fine dell'installazione sul fondo altrui di linee ed impianti, non può invocare la disciplina dell'art. 1032 cod. civ. in tema di costituzione di servitù coattive, trattandosi di disposizioni speciali, non estensibili all'infuori dei casi  espressamente  consideratiCon  tale  decisione  le  Sezioni  Unite  hanno ritenuto  corretta  la  decisione  del  giudice  del  merito  di  rigetto  della  domanda (riconvenzionale) proposta dalla SIP s.p.a. per la costituzione coattiva di servitù telefonica in proprio favore (Cass. SS. UU. 16 gennaio 1986 n. 207).

Nella particolare materia di cui qui si tratta, si è recentemente espresso anche il Tribunale di Lecce, con una sentenza (n. 75/2006) molto interessante che riassume lo stato dell’arte e l’opinione della dottrina e giurisprudenza dominanti, e di cui si riporta un estratto: L’art. 233 DPR n. 156/1973, che prevede la costituzione della servitù di telefonia solo per contratto o per atto amministratito-autoritativo, esclude per converso che la società concessionaria del servizio possa invocare la disciplina dell’art. 1032 cc in tema di costituzione delle servitù coattive, la cui tipicità (numerus clausus) non ne permette l’estensione fuori dei casi espressamente considerati (Cass. n. 207/1986).

Pertanto, rilevato che nella fattispecie non è stata rispettata dalla Telecom la procedura di espropriazione ex art. 23 DPR n. 156/1973 o di imposizione della servitù ex art. 233 stessa legge (Decreto del Prefetto ai sensi della legge 2359/1865), considerato che l’art. 233 prevede la costituzione della servitù di telefonia solo per contratto o per atto amministrativo autoritativo, ritenendo importante l’art. 237 DPR n. 156/1973 (“ La servitù deve essere costituita in modo da riuscire la più conveniente allo scopo e la meno pregiudizievole al fondo servente, avuto riguardo alle condizioni delle proprietà vicine…”) e l’art. 232, III comma stessa legge (“ i fili, cavi e ogni altra installazione debbono essere collocati in guisa da non impedire il libero uso della casa secondo la sua destinazione”), se si considera infine che la moderna tecnica consente l’interramento dei cavi e dei fili con estrema facilità, ne segue che il sacrificio cui sono costretti alcuni immobili posti in prossimità dei crocicchi delle strade ( come quello che ci occupa) che garantivano in passato l’appoggio o l’ancoraggio per una serie di utenze, attualmente non ha assolutamente modo di esistere; né nessuna Autorità preposta alla costituzione della servitù, stante il tenore della legge e le possibilità offerte dalla tecnica, potrebbe mai autorizzare la Telecom ad installare impianti sui prospetti delle abitazioni dei privati.

In conclusione, poiché nel caso in esame non vi è stato alcun provvedimento che abbia dichiarato la pubblica utilità dell’opera e la società concessionaria del servizio telefonico ha compiuto le opere senza alcun provvedimento autorizzativo, deve riconoscersi la facoltà dei proprietari attori di adire il giudice ordinario anche con domanda di rimozione di dette opere, atteso che si verte in tema di tutela di posizioni di diritto soggettivo lese da comportamenti materiali non ricollegabili all’esercizio di poteri autoritativi della P.A. (Cass. S.U. n. 6962/1994 già citata).

5) Risarcimento del danno.
Non vi è dubbio che l’installazione dei pali e della linea elettrica sul fondo dell’attore sia avvenuta senza il suo consenso, anche in considerazione del fatto che l’istante, come sarà provato mediante testimoni, non è in alcun modo beneficiario dell’adduzione di tale linea, che è al servizio esclusivo di altri utenti, terzi estranei, proprietari o inquilini di altri immobili.

Né la convenuta ha provato in giudizio l’esistenza del necessario presupposto dell’occupazione costituito dall’adozione dei provvedimenti ablativi, per cui in difetto di altre emergenze probatorie, il suo comportamento va sicuramente qualificato come illecito.

Invero, l’obbligo, da parte dell’utente, di concedere gratuitamente all’esercente l’appoggio ed il passaggio nel fondo di sua proprietà per i sostegni e le condutture occorrenti all’erogazione del servizio non sussiste qualora le installazioni effettuate siano destinate a servire altri utenti, come nel caso di specie.

L'apprensione sine titulo di un suolo di proprietà privata, occorrente per l'impianto di un elettrodotto (non linea telefonica), non determina la costituzione di una servitù, secondo lo schema della cosiddetta occupazione acquisitiva, i cui estremi non sono ravvisabili con riguardo ai diritti reali "in re aliena", ma configura un illecito a carattere permanente, il quale perdura fino a quando non venga rimosso l'impianto o cessi il suo esercizio o sia costituita regolare servitù mediante sentenza del Giudice ordinario e sempre che, in quest'ultimo caso, l'impianto ed il suo esercizio siano stati autorizzati dall'autorità competente. A fronte di tale illecito, e per il caso che manchino l'autorizzazione e la dichiarazione sopra indicata, il privato può chiedere, oltre al risarcimento dei danni, anche la rimozione dell'opera e la restitutio in integrum, posto che l'attività materiale dell'autore e del gestore dell'impianto non è qualificabile come pubblica (Cass. 3/6/1996 n. 5077; Cass. 18/9/1991 n. 9726; Cass. SS. UU. 14/03/1991 n. 2724; Cass. 4619/89; Cass. 6954/1988).

Appare quindi evidente che la convenuta ha omesso di riconoscere al legittimo proprietario un corrispettivo per il peso imposto al fondo, con ciò arrecando a questi indubbiamente un danno corrispondente al mancato ristoro per la deminutio subita della pienezza ed esclusività del suo diritto, che merita di essere risarcito in via d’equità, nella misura di Euro 1.100,00.

In ogni caso, qualora l’On.le Giudicante non volesse accordare la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno, va ricordato che la Suprema Corte ha stabilito che … A) L'imposizione di una servitù o di altro diritto reale comporta a favore del proprietario del bene e a carico del soggetto al quale l'imposizione giova in modo diretto e immediato, la corresponsione di un'indennità che ha in questa materia, lo stesso fondamento e la stessa funzione che ha nell'espropriazione per pubblica utilità; B) l'obbligo dell'indennità ha un fondamento etico e teorico individuato generalmente in un principio di giustizia distributiva per cui l'onere necessario alla produzione d'una utilità collettiva anziché gravare su un solo soggetto, va proporzionalmente distribuito fra i membri della collettività (Cass. 22/1/1988 n. 481).

Pertanto, alla stregua di quanto affermato, il presente giudizio deve proseguire dinanzi al Giudice di Pace adito per la quantificazione della misura del risarcimento del danno o dell’indennità.

6) Risultanze istruttorie.
Il cd estratto banca dati installazione pali, o documento equipollente prodotto da controparte, è uno scritto proveniente dalla convenuta e non può costituire prova in suo favore. Infatti, la Giurisprudenza ormai costante della S.C. ritiene che un documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa, né determina inversione dell'onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale è prodotto contesti il diritto.

Inoltre, la convenuta, sin dalla propria comparsa di costituzione, ha riconosciuto e non ha contestato di avere infisso i pali o appoggiato i cavi sul fondo di proprietà dell’istante: tale comportamento porta a ritenere accertato, anche per l’On.le Giudicante, il suddetto fatto. Infatti, appare corretto l’orientamento giurisprudenziale che fa discendere il potere del giudice di ritenere pacifico un fatto in ragione del comportamento processuale della controparte e, in particolare, dall’assolvimento o meno dell’onere di prendere posizione sui fatti allegati dall’altra parte e, conseguentemente, dalle scansioni dei termini decadenziali cui è soggetto il rito civile (Cass. 25/5/2004 n. 10031; Cass. 8/4/2004 n. 6936; Cass. 5/4/2004 n. 6663; Cass. 5/3/2005 n. 4556; Cass. 14/1/2004 n. 405; Cass. 13/9/2003 n. 3245).

In altri termini, la mancata specifica contestazione di un fatto costitutivo del diritto dedotto da uno dei contendenti lo rende incontroverso e non più bisognoso di prova, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua della regola di condotta processuale di cui all’art. 167, 1° comma, cpc, che impone al convenuto di prendere posizione in comparsa di risposta sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (Cass. 6/2/2004 n. 2299).

Pertanto, ove l’Ill.mo Giudicante dovesse ritenere superflua l’ammissione di prove orali, stante la documentazione agli atti, da cui si desume che l’attore è proprietario dell’immobile, che la Telecom ha esplicitamente ammesso d’avervi installato i cavi,  e che le installazioni effettuate sono destinate a servire altri utenti terzi estranei, proprietari o inquilini di altri immobili, si chiede rinviarsi la causa per conclusioni e discussione.

Tutt’altro impugnato, l’istante, come in atti rapp.to, difeso e dom.to,

c o n c l u d e

affinché l’Ill.mo Giudicante voglia così decidere:

1) accogliere la domanda proposta e, per l’effetto, condannare la convenuta al risarcimento dei danni patiti dall’attore, o in via subordinata, alla corresponsione di un’indennità per i fatti di cui in narrativa, da liquidarsi in via equitativa, nei limiti della somma di euro 1.100,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, con espressa rinunzia all’eventuale esubero;

2) Condannare la convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari del pre-sente giudizio, con attribuzione al sottoscritto difensore antistatario.

Salerno, ___________
Avv. Gennaro De Natale



giovedì 15 settembre 2011

SENTENZA DEL GIUDICE DI PACE DI SALERNO SU CAN, CAD ED ATTI ESENTI




REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI SALERNO

Il Giudice di Pace di Salerno, dott.ssa Veronica La Mura, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. ******** RG trattenuta in decisione il **** avente ad oggetto

RISARCIMENTO DANNI

TRA

De Natale Gennaro ……..

contro

Poste Italiane Spa, ………….

CONCLUSIONI RAPPRESENTATE DALLE PARTI

Come da atti introduttivi e comparse conclusionali. Vittoria di spese, diritti ed onorari con distrazione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, l’attore conveniva in giudizio la società Poste Italiane spa in persona del legale rappresentante pt, per sentir dichiarare l’illegittimità delle spese addebitate al mittente per l’emissione della cosiddetta CAN, operata dalle Poste Italiane.

A sostegno della domanda, l’attore deduce di aver notificato, tramite il servizio postale fornito da Poste Italiane spa, un atto indirizzato a Telecom Italia spa. Detto atto era esente da spese, così come attestato dall’Ufficiale Giudiziario di Salerno. Ciononostante, la convenuta Poste Italiane emetteva comunicazione di avvenuta notifica, in acronimo CAN, addebitando al mittente, odierno attore, la somma di € 2,80.

All’udienza fissata si costituiva la convenuta con comparsa di costituzione, deducendo l’infondatezza dell’avversa tesi e l’inammissibilità della domanda.

Instaurato il contraddittorio tra le parti, la causa veniva rinviata per conclusioni e discussione.

Sulle avverse conclusioni rassegnate dalle parti, la causa veniva assegnata a sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata e merita accoglimento.

In limine litis, va premesso, anzitutto che non è stato possibile, per l’indisponibilità delle parti in causa, addivenire alla conciliazione della lite.

La domanda è fondata, pertanto merita accoglimento.

La legge n. 31 del 28/02/08 dopo un anno dall’entrata in vigore restano ancora dubbi interpretativi circa l’emissione della CAN, ovvero comunicazione di avvenuta notifica.

Detti dubbi interpretativi sono stati oggetto di esame anche da parte della stessa amministrazione della giustizia la quale ha chiesto parere all’Avvocatura Generale dello Stato, la quale, con nota n. 25247 del 24/09/2008, ha chiarito dicendo che nel caso di notifiche a persone giuridiche, ed in particolare alle società di capitali vige il principio dell’immedesimazione organica in virtù del quale la consegna degli atti eseguita a mani di uno dei soggetti indicati nell’art. 145 cpc, esaurisce le formalità volute dalla legge.

Del resto la stessa Amministrazione postale ha ritenuto in più occasioni di dover condividere tale tesi interpretativa ritenendo soggetta alla nuova disciplina solo le notificazioni dirette alla persona fisica e non agli enti impersonali.

Ciò posto, l’emissione della CAN non deve essere eseguita quando l’atto giudiziario risulti indirizzato a persona giuridica e la relativa consegna dell’atto sia stata fatta nelle mani di persona diversa dal legale rappresentante.

Di contro l’emissione della CAN è necessaria laddove la notifica sia diretta alla persona fisica nella qualità di legale rappresentante della società e dall’atto risulti la sua residenza, domicilio o dimora, poiché in tal caso la notifica si intende fatta alla persona fisica.

Analogamente, l’emissione della CAN è necessaria quando l’atto sia notificato al portiere dello stabile in cui la persona giuridica ha la sede, anche se il destinatario della notifica è una società di persone il CAN dovrà essere emesso.

Alla luce di quanto innanzi esposto, si perviene all’accoglimento della domanda dell’attore ed alla condanna delle Poste Italiane spa in persona del legale rappresentante, alla restituzione della somma di € 2,80 oltre gli interessi dalla domanda al soddisfo.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

Il Giudice di Pace di Salerno nella persona della dr Veronica La Mura definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

nel merito

accoglie

la domanda e condanna la convenuta Poste Italiane spa in persona del legale rappresentante, ed elettivamente domiciliata presso la filiale di Salerno, alla restituzione della somma di € 2,80 in favore dell’attore con i relativi interessi.

Oltre la refusione delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in complessivi €250,00 di cui 30,00 per spese, oltre spese forfetarie IVA e CPA come per legge in favore del procuratore antistatario.

Sentenza esecutiva come per legge.

Così deciso in Salerno lì 15/10/2009

Il Giudice di Pace

Dr Veronica La Mura

giovedì 8 settembre 2011

EQUA RIPARAZIONE PER LA ECCESSIVA DURATA DEL PROCESSO




Il mio processo è durato molti anni; è vero che posso avere un risarcimento danni dallo Stato?

Sì, è vero. La cd legge Pinto riconosce la possibilità, a tutti coloro che sono stati parti in un processo durato eccessivamente (di regola più di tre anni), di ottenere dal competente Ministero un indennizzo per il danno sofferto a causa di tale ritardo: si tratta della cd violazione del termine ragionevole di durata del procedimento.


Quando scatta il diritto al risarcimento o indennizzo?
La violazione del termine ragionevole si verifica quando la durata del tuo processo (civile, penale o amministrativo) abbia superato i tre anni, sia pure con le dovute correzioni e temperamenti, eliminando da tale periodo quello addebitabile al comportamento delle parti.


Questo cosa significa? Possibile che qualcuno possa avere interesse a ritardare il proprio processo?

Si, effettivamente possono esserci anche dei casi in cui qualcuno può avere interesse a ritardare la fine del processo, oppure casi in cui un processo eccessivamente lungo può giovare ad una delle parti; pensa, ad esempio, alla posizione in cui si trova un inquilino in un processo di sfratto per finita locazione … quest’ultimo può trarre solo benefici da un processo lungo.


Quando posso chiedere il risarcimento? E’ necessario attendere la fine del processo?
Devi proporre il ricorso entro sei mesi dalla conclusione della causa durata eccessivamente. Anzi, per la precisione, devi proporlo entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. Quindi, non è necessario che tu attenda la fine del processo, puoi presentare il ricorso anche ora, mentre il giudizio è ancora pendente.



Purtroppo io ho perso la causa … Anche in questo caso posso aver diritto al risarcimento?
Si, la liquidazione del danno prescinde dall’esito della causa di merito in cui vi è stata violazione del termine ragionevole. Il ricorso, pertanto, può essere proposto anche dalla parte soccombente.


A quanto può ammontare il risarcimento?
Mediamente, le Corti d’Appello riconoscono 1.000,00 euro per ogni anno di ritardo.


Devo nominare un avvocato o posso presentare il ricorso da solo?
In questo tipo di procedimento è necessario il patrocinio di un avvocato.


Quanto mi potrebbe costare un ricorso del genere?
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FINANZIAMENTO PER ACQUISTO DI BENI E MANCATA CONSEGNA DELLA MERCE




La vicenda che segue ha come protagonisti una coppia di giovani sposi, che acquistano alcuni mobili presso un noto centro commerciale di Salerno, tramite un finanziamento erogato da una società finanziaria operante a livello nazionale.


Dopo qualche settimana dall’acquisto, il centro commerciale fallisce, ed è costretto a chiudere i battenti, lasciando tutti i clienti allibiti.


Al momento stabilito per la consegna, i mobili non vengono consegnati, creando così seri problemi alla coppia di sposi che vanno ad abitare nell'appartamento senza una parte consistente dell'arredamento.


Come se non bastasse, la finanziaria pretende il pagamento del finanziamento dagli acquirenti dei mobili, anche se la somma è stata erogata al centro commerciale. Oltre al danno, anche la beffa!


Il legale della finanziaria propone una soluzione bonaria per risolvere la questione senza troppi clamori: gli sposini devono pagare la somma erogata dalla finanziaria al centro commerciale, ma con uno sconto del 30/40%.


I due ragazzi declinano gentilmente la “generosa” offerta, e, dopo poco tempo, gli viene notificata una ingiunzione emessa dal Tribunale di Prato. Proponiamo subito opposizione al decreto ingiuntivo, in quanto la società finanziaria, in malafede, ha richiesto l’ingiunzione nella città in cui essa ha la sede operativa, e non nella città (Salerno) dove risiedono i ragazzi acquirenti dei mobili, e ciò all’evidente scopo di scoraggiare qualsiasi iniziativa difensiva.


Il giudice del Tribunale di Prato accoglie la nostra tesi difensiva, ritenendo fondata l’opposizione. In ogni caso, è bene tener presente che quando acquistiamo qualcosa a rate, il finanziamento viene concesso al compratore, ma viene erogato direttamente al venditore.


Quindi, il soggetto che beneficia della somma concessa in prestito, non è l’acquirente, ma il venditore dei beni, che rispetto al mutuo è terzo. L’acquirente, che impiega il finanziamento secondo la destinazione prevista nel contratto, sostanzialmente non ricava alcun vantaggio, perché non gli viene nemmeno consegnata la merce acquistata.


Pertanto, quando un finanziamento viene concesso da una finanziaria per pagare il prezzo dei beni acquistati, venuta meno la compravendita, il mutuo non ha più ragione d'essere, e, in questo caso, chi deve restituire la somma mutuata è il venditore, non il compratore, come vogliono far credere le società finanziarie (Cass. 23/4/2001 n. 5966).


Di solito, le finanziarie preferiscono agire giudizialmente nei confronti dei malcapitati consumatori, in primo luogo perché questi hanno fornito garanzie ed informazioni (mod. 730 o 101) in base alle quali è più semplice recuperare il credito, anche con il ricorso a strategie spesso scorrette; in secondo luogo perché, agendo nei confronti del venditore fallito, dovrebbero accontentarsi del pagamento dei crediti in moneta fallimentare, e quindi in misura notevolmente ridotta

venerdì 2 settembre 2011

SENTENZA - GIUDICE DI PACE DI SALERNO - CAN E CAD - POSTE - ATTI ESENTI




GIUDICE DI PACE DI SALERNO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL GIUDICE DI PACE DI SALERNO, DR. GIOVANNI SCARPA,

ha pronunciato la seguente sentenza

nella causa civile iscritta al n. 2891/2011 tra ************

contro Poste Italiane S.p.A.

oggetto: ripetizione indebito.

Con atto di citazione ritualmente notificato, l’attore conveniva in giudizio la società Poste Italiane SpA., in persona del legale rappresentante pro-tempore, per sentire dichiarare l’illegittimità delle spese addebitate al mittente per l’emissione della Comunicazione di Avvenuta Notifica (CAN), operata dalle Poste Italiane.


A sostegno della domanda, l’attore deduceva di avere notificato, tramite il servizio postale fornito da Poste Italiane Spa., un atto indirizzato ad Autostrade per l’Italia SpA.


Detto atto era esente da spese, così come attestato dall’Ufficiale Giudiziario di Salerno.


Ciononostante, la convenuta Poste Italiane aveva emesso comunicazione di avvenuta notifica (CAN), addebitando al mittente, odierno attore, la somma di euro 2,80.


All’udienza fissata, si costituiva la convenuta con comparsa di costituzione e risposta, deducendo l’infondatezza della domanda e l’inammissibilità della stessa.


Instaurato il contraddittorio tra le parti, la causa veniva rinviata per conclusioni e discussione. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti, la causa veniva assegnata a sentenza.


MOTIVI DELLA DECISIONE.

La domanda è fondata e pertanto merita accoglimento.


In via preliminare, va innanzitutto disattesa l’eccezione di prescrizione della convenuta: infatti, in materia di ripetizione di indebito oggettivo, come nel caso che ne occupa, l’azione di recupero è sottoposta a prescrizione decennale ai sensi dell’art. 2946 c.c..


Nel merito, la legge n. 31 del 28/02/2008 ha dato luogo a qualche dubbio interpretativo circa l’emissione della C.A.N. (Comunicazione di Avvenuta Notifica) da parte dell’agente postale, laddove destinatario dell’atto sia una persona giuridica ed in particolare una società di capitali.


Ad una tesi estensiva che ritiene che l’emissione della CAN sia necessaria anche laddove destinatario dell’atto sia una persona giuridica, se ne contrappone una più restrittiva che ritiene che nel dettato normativo, così come novellato, non è richiesta l’emissione della predetta comunicazione.


Tali interrogativi sono stati oggetto d’esame anche da parte della stessa amministrazione della giustizia, la quale ha richiesto un parere all’Avvocatura Generale dello Stato che, con nota n. 25247 del 24/9/2008, ha chiarito che nel caso di notifiche a persone giuridiche, ed in particolare alle società di capitali, vige il principio dell’immedesimazione organica in virtù del quale la consegna degli atti eseguita a mani di uno dei soggetti elencati dall’art. 145 c.p.c. esaurisce le formalità volute dalla legge. Del resto la stessa amministrazione postale ha ritenuto, in più occasioni, di dover condividere tale tesi interpretativa ritenendo soggetta alla nuova disciplina solo le notificazioni dirette alla persona fisica e non agli enti impersonali.


Pertanto l’emissione della C.A.N. non deve essere eseguita quando l’atto giudiziario risulti indirizzato a persona giuridica e la relativa consegna dell’atto sia stata fatta nelle mani di persona diversa dal legale rappresentante.


Di contro l’emissione della C.A.N. è necessaria laddove la notifica sia diretta alla persona fisica, nella qualità di legale rappresentante della società, e dall’atto risulti la sua residenza, domicilio o dimora, poiché in tal caso la notifica si intende fatta alla persona fisica.


Analogamente l’emissione della C.A.N. è necessaria quando l’atto sia notificato al portiere dello stabile in cui la persona giuridica ha sede. Se destinatario della notifica è una società di persone anche in tal caso la C.A.N. dovrà essere emessa.


Pertanto, alla luce di quanto esposto, questo Giudice ritiene di dovere accogliere la domanda dell’attore, e condannare le Poste Italiane SpA., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla restituzione della somma di euro 2,80 oltre gli interessi dalla domanda al soddisfo. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, tenendo conto della somma liquidata e della relativa tariffa per scaglione, nonché dell’attività processuale svolta. La sentenza è esecutiva ex lege.


P .Q. M.

il Giudice di Pace di Salerno, definitivamente pronunciando in ordine alla causa n. 2891/2011 rg, così provvede:


- Accoglie la domanda proposta dall’attore e, per l’effetto, condanna la convenuta Poste Italiane SpA, in persona del suo legale rappresentante pt, ed elettivamente domiciliata presso la Filiale di Salerno, alla restituzione della somma di euro 2,80 in favore dell’attore oltre interessi dalla domanda al soddisfo;


- Condanna la convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorario del presente giudizio, che liquida rispettivamente in euro 43,00 per spese, Euro 300,00 per diritti, Euro 100,00 per onorario, oltre rimborso forfetario per spese generali, IVA e CNAP come per legge, in favore del difensore antistatario.


Così deciso in Salerno, Il Giudice di Pace di Salerno Dr. Giovanni Scarpa

giovedì 1 settembre 2011

SENTENZA DELLA CASSAZIONE DEL 22 LUGLIO 2011 N. 16141, SUL PAGAMENTO DELLE BOLLETTE ENEL TRAMITE IL SERVIZIO POSTALE




Con la suddetta sentenza, la Suprema Corte ha stabilito che l'Enel non deve risarcire gli utenti che hanno sopportato i costi di spedizione della bolletta. 

I giudici hanno ritenuto che, anche se l'autorità impone di offrire una modalità di pagamento gratuita, l'azione di inadempimento risulta priva di fondamento.

Di seguito il testo della sentenza.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE


........... omissis

ha pronunciato la seguente


sentenza


sul ricorso ********* proposto da **********


contro ENEL servizio elettrico spa ... omissis


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1) Il Tribunale di Catanzaro, son sentenza del 10 maggio 2010, ha accolto l'appello proposto dall'Enel Distribuzione spa ed in riforma della sentenza n. ***** del 2008 del Giudice di Pace di Badolato, ha rigettato la domanda proposta nel marzo 2008 da ********** per ottenere il risarcimento del danno da inadempimento del contratto di somministrazione dell'energia elettrica corrente con detta spa nella misura di € 1,00, rappresentante l'importo pagato per il costo del pagamento di una bolletta tramite il servizio postale.


L'inadempimento dell'Enel era stato individuato adducendosi: che con l'art. 6 comma 4, della Deliberazione 28 dicembre 1999 n. 200, l'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas (A.E.E.G.) aveva imposto agli esercenti il servizio di distribuzione e vendita dell'energia elettrica e, quindi, all'ENEL, di offrire al cliente almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta; che l'Enel non aveva ottemperato e, in ragione dell'inadempimento l'AEEG aveva - con deliberazione n. 72 del 2004 - diffidato inutilmente l'Enel ad adempiere all'obbligo e la deliberazione era stata ritenuta valida dal TAR Lombardia con sentenza del 9 novembre 2005, n. 3948.


2) Il Giudice di Pace di Badolato aveva accolto la domanda nel presupposto che l'art. 6, comma 4, avesse integrato il contratto di fornitura ai sensi dell'art. 1339 cc e che, non avendo l'Enel predisposto una modalità di assicurazine del pagamento gratuito, bensì quella tramite pagamento presso le Poste, l'utente era risultato gravato indebitamente del costo del pagamento richiesto dalle stesse.


L'appello dell'Enel si era articolato sia nel sostenere che l'art. 6, comma 4, non aveva avuto efficacia integrativadel contratto ai sensi dell'art. 1339 cc, sia, gradatamente, nel senso che il danno da inadempimento lamentato dall'utente non sarebbe stato configurabile, giacchè se fosse stata assicurata una modalità di pagamento gratuito - come lo era stata prevedendosi, a far tempo dal 2004 (e siccome si dava atto - a dire dell'Enel - nella delibera n. 72 del 2004 dell'AEGG) la possibilità di pagare presso lo sportello dell'Enel esistente nel capoluogo di provincia - l'utente, dovendosi recare presso di esso, avrebbe dovuto sopportare spese ben maggiori di quelle del costo del bollettino postale.


3) Il Tribunale di Catanzaro ha accolto l'appello dell'Enel in quanto al primo motivo, ritenendo che non avesse avuto luogo l'integrazione del contratto ai sensi dell'art. 1339 cc per effetto dell'art. 6, comma 4, citato, dovendosi riconoscere alla prescrizione di cui a quest'ultimo effetto soltanto nel rapporto diretto autoritativo fra l?AEEG e l'Enel, di modo che l'inottemperanza da parte di quest'ultimo avrebbe potuto giustificare l'irrogazione di sanzioni da parte dell'AEEG, ma non consentire, per non essere stato integrato il contratto, l'azione di risarcimento danni per inadempimento.

3.1) In sintesi, la motivazione si articola con i seguenti passaggi: dopo una premessa, intesa a richiamare la norma dell'art. 1196 cc, là dove precede che le spese del pagamento sono a carico del debitore, si precisa che, atteso il contenuto dispositivo della norma, ne è possibile la deroga per effetto di accordo delle parti. Si osserva, quindi, che una deroga può avvenire anche per effetto di eventuali previsioni di legge a norma dell'art. 1339 cc dispositive in senso diverso. Si avverte che il riferimento alla legge nella norma ora detta va relativizzato, potendo ricomprendere oltre la legge in senso sostanziale, i regolamenti normativi e ministeriali ed i provvedimenti amministrativi in tema di tariffe, purchè - in ossequio al principio di legalità, di cui all'art. 97 della Costituzione - sulla base di una norma di legge attributiva del relativo potere. Dopo di che, premesso il richiamo ai poteri attribuiti dall'art. 12, comma 2, della L. n. 481 del 1995 all'AEGG, particolarmente nelle lettere e) ed h), nonchè ai commi 36 e 37 del detto articolo 12, si osserva che: <<1. il concessionario del servizio pubblico di erogazione di energia elettrica ha l'obbligo di predisporre un regolamento di servizio contenente le condizioni generali del contratto di somministrazione; 2. tale regolamento di servizio conforma il proprio contenuto alla convenzione di servizio ovvero al contratto di programma stipulato tra l'amministrazione pubblica concedente ed il medesimo concessionario; 3. esso è altresì integrato dalle determinazioni dell'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas in materia di prestazione del servizio pubblico>>. Di seguito, tuttavia, si sostiene che <
>, mentre non si estende, invece, alle modalità di adempimento della prestazione dell'utente, per quanto le tariffe vengano invece determinate autoritativamente>>.

A sostegno di tale assunto si richiamano le norme delle lettere g), i), l), n) e p) dello stesso art.12, comma 2, per desumerne che i relativi poteri autoritativi sarebbero volti alla verifica del rispetto di standard qualitativi nell’erogazione del servizio pubblico e che solo i poteri di cui alle lettere l) ed n) concernerebbero obblighi gravanti sull’utente, ma senza che le relative potestà pubblicistiche si possano concretizzare <
>. A conferma di questo assunto si cita Cons. Stato, sez. VI , 27.10.2003 n. 6628.

La conclusione è stata che <
>.

Al ricorso ha resistito con controricorso l’Enel Servizio elettrico s.p.a., sia nella qualità di procuratore speciale dell’ENEL Distribuzione s.p.a., sia nella qualità di beneficiaria del ramo di azienda dell’Enel Distribuzione s.p.a. nell’ambito del quale ricade il complesso dei beni e dei rapporti concernenti l’attività di vendita dell’energia elettrica ai clienti finali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si osserva che il ricorso è stato sottoscritto da due avvocati muniti di procura speciale congiunta e disgiunta, di cui uno solo ….. risulta cassazioni sta; in tale situazione, la sottoscrizione da parte dell’avvocato cassazioni sta è sufficiente ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo in esame, del ricorso (confronta Cass. n. 15478 del 2008).

1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione o falsa applicazione di norme di diritto: in particolare articoli 1196 e 1339 del codice civile con riferimento al provvedimento dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas n. 200 del 1999”.

1.2. Vi si critica la motivazione della sentenza impugnata con riguardo a pretesi suoi passi, che vengono riportati testualmente fra virgolette, i quali, però non trovano tutti rispondenza in essa, apparendo taluni riferibili, evidentemente, alla motivazione di una distinta sentenza.

Poiché, però, anche il contenuto sostanziale di quelli che non corrispondono formalmente alla motivazione della sentenza impugnata è aderente a quest’ultima, l’ammissibilità del motivo sotto il profilo della sua pertinenza alla motivazione non risulta compromessa.

1.3. In sintesi, le argomentazioni con cui il motivo viene illustrato si risolvono nel postulare che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto, in generale, che l’esercizio da parte dell’A.E.G.G. del potere di direttiva di cui all’art. 2, comma 12, lett. h) della deliberazione n. 200 del 1999 non dia luogo a prescrizioni idonee ad incidere direttamente sul contenuto dei rapporti di utenza fra Enel e clienti e, su questa premessa, si sostiene che, di conseguenza, erroneamente la prescrizione dell’adozione di almeno una modalità gratuita di pagamento delle bollette sia stata ritenuta inidonea – attraverso il rinvio dell’art. 2, comma 12, lett. h), al comma 37 dello stesso articolo – a determinare in prima battuta l’integrazione del regolamento di servizio predisposto dall’’Enel e, quindi, del contratto di utenza, bensì soltanto l’obbligo dell’Enel di ottemperare nei confronti dell’ dell’ A.E.G.G. ed il potere di quest’ultima di applicare le relative sanzioni.

2. Con un secondo motivo si denuncia”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: avvenuta corresponsione di somme per il pagamento delle bollette ad ENEL”.

L’illustrazione è svolta assumendo che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto assorbito il motivo di appello relativo alla sussistenza del danno risarcibile, ma avrebbe osservato che - <
>.
Il danno, viceversa, sarebbe <
>, sia attraverso l’esborso sopportato all’atto del pagamento della fattura, sia per il fatto che l’A.E.G.G. aveva riconosciuto l’inadempimento contrattuale dell’Enel alla prescrizione dell’art. 6, comma 4, della delibera 200 del 1999. inoltre, si sostiene che l’adempimento dell’Enel a tal prescrizione non poteva ritenersi realizzato attraverso la concessione della possibilità di pagare gratuitamente presso lo sportello del capoluogo di provincia, dato che questa modalità esponeva comunque a spese.

3. Con un terzo motivo si denuncia <
>.

Vi si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto assorbito il motivo di appello relativo alla violazione da parte dell’Enel dell’obbligo di informazione circa la modalità gratuita di pagamento, ancorché si trattasse di circostanza incontestata. La sentenza avrebbe inoltre osservato che nella deliberazione n. 55 del 2000 dell’A.E.G.G. non sarebbe esistita alcuna imposizione dell’obbligo di informativa, ma avrebbe trascurato che detto obbligo derivava dagli artt. 1175 e 1375 cc.

4. Il secondo e terzo motivo sono manifestamente inammissibili, sia perché sarebbero relativi a motivi di appello rimasti assorbiti, che, dunque, ben potrebbero e dovrebbero essere riesaminati nel caso di cassazione della sentenza in accoglimento del primo motivo, sia – gradatamente – perché nella sentenza non vi è traccia della dichiarazione di assorbimento e nemmeno delle affermazioni che riguardo a detti motivi la sentenza avrebbe fatto ( peraltro ultroneamente, dato l’assorbimento), sia – ancora più gradatamente – perché nemmeno si indica, in manifesta violazione del principio di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., che costituisce il precipitato normativo del principio di autosufficienza, da chi, come e con quali espressioni i detti motivi sarebbero stati prospettati. Inoltre, quanto alla circostanza oggetto del terzo motivo, cioè della violazione del dovere di informazione, nemmeno si precisa come e dove essa fosse stata dedotta come fatto costitutivo di inadempimento contrattuale originante il danno.

5. il primo motivo è fondato là dove critica la motivazione della sentenza impugnata quanto alla inidoneità dell’art. 6, comma 4, della deliberazione n. 200 del 1999 ad integrare il contratto di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c., ma il riconoscimento della erroneità della motivazione con cui il tribunale è pervenuto a detta conclusione a favore di detta inidoneità e, quindi, il consequenziale dispositivo della sentenza, appaiono, conformi a diritto. Di modo che la Corte deve procedere solo alla correzione della motivazione giustificativa della inidoneità, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cpc.

5.1. Prima di dar conto delle ragioni di tale correzione è necessaria una precisazione.

Deve anzitutto ricordarsi e ribadirsi che, nel regime anteriore alle riforme di cui alla l. n. 69 del 2009, <
>. ( Cass. n. 22283 del 2009).
Tale principio conserva la sua validità anche dopo l’introduzione del secondo comma dell’art. 101 da parte detta legge, atteso che l’omologia fra questa nuova previsione generale e quella speciale del terzo comma dell’art. 384 – indipendentemente dalla ricostruzione dell’ambito di applicabilità di quest’ultimo e dalla questione della sua coincidenza o meno con la nuova regola generale – comporta la perdurante validità della specialità della previsione del quarto comma dell’art. 384 cpc. Non solo per le ragioni che l’avevano giustificata a fronte dell’ introduzione del detto terzo comma, ma anche in ossequio al principio lex posterior generalis non derogat priori speciali. Si vuole dire, cioè che, qualora si credesse che vi sia coincidenza fra la previsione del terzo comma, ma anche in ossequio al principio lex posterior generalis non derogat priori speciali. Si vuole dire, cioè che, anche qualora si credesse che vi sia coincidenza fra la previsione del terzo comma dell’art. 384cpc e quella del nuovo art. 101, secondo comma, cpc, in ogni caso la norma del quarto comma sarebbe rimasta ferma quale previsione speciale non modificata da quella generale.

Il principio di diritto che viene in rilievo è, pertanto, il seguente: <
>.
5.2 Ciò premesso, si osserva che la motivazione della sentenza impugnata appare erronea, là dove ha interpretato l’art. 2, comma 12, lett. h), nel senso che le deliberazioni adottate dall’A.E.G.G. ai sensi di essa possano svolgere efficacia integrativa dei contratti di utenza individuali, attraverso la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizio predisposto dal concessionario, soltanto per quanto attiene alla produzione ed alla erogazione del servizio e non invece quanto alle modalità di esecuzione della prestazione dell’utente, come nella specie la modalità dell’adempimento.
Questa lettura della norma non appare conforme alla sua corretta esegesi sia sul piano letterale sia su quello teleologico.

5.3. queste le ragioni.
Va premesso che l’art. 1, comma 1, della l. n. 481 del 1995 (recante: <
>), prevede, sotto la rubrica <> che << Le disposizioni della presente legge hanno la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, di seguito denominati<> nonché adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e di redditività, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori, tenuto conto della normativa comunitaria in materia e degli indirizzi di politica generale formulati dal Governo. Il sistema tariffario deve armonizzare gli obiettivi economico- finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse>>.

Il lettore della norma percepisce fra el finalità della legge v’è anche quella di promuovere la “tutela degli interessi di utenti e di consumatori”.

Il successivo art. 2, comma 12, dopo aver previsto che <
>, che poi provvede ad elencare in una serie di lettere, nella lettera h) dispone l’A.E.G.G. <>.

Ora, la struttura di questa norma consente di affermare che dall’esercizio da parte dell’A.E.G.G. del potere da essa previsto possa senz’altro derivare una integrazione del contratto ai sensi dell’art. 1339 c.c.

Il punto da chiarire concerne, per un verso la definizione dell’ambito oggettivo di tale possibile integrazione e, per altro verso l’individuazione delle condizioni in presenza delle quali l’esercizio del potere può avere l’effetto integrativo.

Che in astratto l’integrazione possa avvenire si desume dal fatto che il potere di cui alla norma in esame è potere esercitatile attraverso atti di natura certamente amministrativa, qualificabili, allorquando abbiano carattere normativo, cioè idoneità a prescrivere comportamenti ai soggetti esercenti, come regolamenti propri del settore cui appartiene il singolo servizio e cui soprintende la specifica autorità, oppure, se si dà rilievo alla limitatezza della platea di detti soggetti ed al loro carattere predefinito in un dato momento, e da tanto interferisca la mancanza del carattere dell’astratta indeterminatezza dei soggetti destinatari, come atti amministrativi precettivi collettivi, cioè diretti verso soggetti determinati. Poiché tali atti sono emanati sulla base di una previsione di legge, allorché il loro profilo funzionale ed il loro contenuto possa essere considerato come determinativo di una clausola rispetto al contratto di utenza, l’applicabilità dell’art. 1339 cc appare in linea generale giustificata, perché, quando detta norma allude alle <
> imposte dalla legge non si riferisce soltanto al caso nel quale la legge individui essa stessa direttamente la clausola da inserirsi nel contratto (come sarebbe stato se il Codice avesse richiesto che la clausola sia prevista <> o <> dalla legge), ma allude anche all’ipotesi in cui la legge preveda che l’individuazione della clausola sia fatta da una fonte normativa da essa autorizzata.

Il che accade nella specie, poiché la previsione di legge dell’art. 2, comma 12, lett.h), nell’attribuire all’autorità e fra queste all’A.E.G.G., il potere di direttiva – se si ritiene che tale potere possa concretarsi nell’individuare clausole dei contratti di utenza – avrebbe appunto l’indicata funzione autorizzatoria, nel senso che la direttiva determinerebbe l’integrazione del contratto in quanto abilitatavi da una previsione di legge.

E’ vero che nella norma non v’è alcun riferimento ai contratti di utenza. Tuttavia, la mancanza di tale riferimento non è affatto decisiva, perché l’ultimo inciso nella norma, prevedendo che le determinazioni dell’autorità producono gli effetti del successivo comma 37, consente che l’integrazione dei contratti possa avvenire mediatamente.

Il comma 37 dell’art. 2, infatti, stabilisce che <
>: è allora chiaro che una integrazione del regolamento di servizio, qualora si concreti nella previsione che il contratto di utenza debba contenere una certa clausola, rappresentando il regolamento di servizio sostanzialmente le condizioni generali di contratto alle quali debbono adeguarsi i contratti di utenza, si risolve in via mediata in una integrazione autoritativa dello stesso contratto.

5.4.Ciò chiaro, riprendendo l’interrogativo su indicato a proposito della necessità di definire il possibile ambito oggettivo della integrabilità dei contratti di utenza per il tramite del potere di cui all’art. 2, comma 12, lett. h), si deve rilevare che l’oggetto di tale potere, là dove (oltre che alla produzione) si riferisce alla <
>, ove venga messo in relazione con la proclamazione dell’art. 1,comma1, della l. n. 481 del 1995 in ordine alla tutela degli interessi di utenti e consumatori, si presta ad essere riferito all’intero ambito del rapporto di utenza individuale, perché l’erogazione del servizio, essendo diretta verso gli utenti ed avvenendo sulla base dei rapporti individuali di utenza, è formulazione talmente generale da apparire di per sé idonea a comprendere anche il profilo del contenuto di detti rapporti.

L’interesse degli utenti e dei consumatori, infatti, non può non essere tutelato anche con riferimento a quell’aspetto delle modalità di erogazione del servizio che si estrinseca nei rapporti individuali.
Nè in senso contrario assume un qualche valore l’espressione con la quale la lettera h) specifica <
> che le direttive debbono definire <>. In tal modo si assegna un contenuto minimo necessario alle direttive, ma non si sminuisce il valore onnicomprensivo del riferimento all’erogazione del servizio per come giustificato dall’art. 1, comma 1.

Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale non appare fondata neppure una giustificazione delle letture restrittiva della lettera h) nel senso – come scrive il Tribunale stesso – ch’esso riguarderebbe comunque solo l prestazione del concedente, mentre gli obblighi dell’utente sarebbero considerati dalle lettere l) ed n) dello stesso art. 2, comma 12.

In disparte il rilievo che non è chiaro perché prescrizioni contenutistiche circa i contratti di utenza, dirette a disciplinare gli obblighi del concedente, non afferiscono almeno indirettamente comunque, cioè anche quando siano dirette a regolare i comportamenti da tenersi da parte dell’utente, alla prestazione del concessionario, posto che ad essa essi si correlano nel sinallagma contrattuale, si osserva che il contenuto delle lettere h) ed n) semmai conferma la lettura estensiva della lettera h).
La lettera l) dispone che l’autorità <>. E la lettera n) che l’autorità <>.

Invero, la previsione della lettera l) pertiene a compiti di diffusione di informazione presso gli utenti e la lettera n) disciplina i poteri dell’Autorità, ma l’una e l’altra attività nulla hanno a che fare con la possibile determinazione, attraverso le direttive cui allude la lettera h), del contenuto del contratto di utenza attraverso la mediazione dell’intervento sul regolamento di servizio.

Deve, dunque, affermarsi che l’A.E.G.G. attraverso le direttive previste dalla lettera h) dell’art. 2, comma 12, bene può dettare precetti che, in quanto integrano il contenuto del regolamento di servizio cui allude il comma 37 della norma dello stesso art.12 possono produrre l’integrazione dei contratti di utenza pendenti attraverso la previsione dell’art. 1339cc.



A fini di nomofilachia, prima di definire le condizioni in presenza delle quali ciò può avvenire e, quindi, di chiarire se sia avvenuto in concreto con riguardo alla specie che si giudica, il collegio reputa opportuno formulare una precisazione, che concerne sempre il profilo oggettivo dell’ambito entro il quale le direttive della lettera h) possono svolgere la funzione di integrazione ai sensi dell’art. 1339 cc.

La precisazione è nel senso che, avvenendo l’integrazione con riferimento a rapporti pur sempre espressione della privata autonomia ed articolandosi attraverso manifestazioni normative secondarie regolamentari oppure integranti atti amministrativi precettivi collettivi, sia pure autorizzate dalla previsione di legge, essa può comportare interventi che incidono sui rapporti di utenza in modo derogatorio anche di norme di legge, se del caso dello stesso codice civile, cha abbiano, però, un contenuto meramente dispositivo, cioè derogabile dalla privata autonomia, mentre deve escludersi che possa giustificare interventi in senso derogatorio di norme previste da disposizioni legislative di contenuto imperativo.

Invero, mentre l’intervento sulle norme del primo tipo è pienamente giustificabile perché incide su previsioni legislative che le stesse parti, con il loro accordo, potrebbero derogare, s’ che appare giustificato a maggior ragione che sia l’Autorità preposta al settore a prevedere la deroga, seppure con il limite funzionale e di scopo di cui immediatamente si dir, viceversa, in presenza di una norma imperativa di legge, il principio di legalità impone di intendere il fenomeno di attribuzione di poteri di disciplina, con fonti di rango secondario o addirittura non aventi nemmeno contenuto normativo, in modo restrittivo. E, dunque, in mancanza di espressa attribuzione del potere di deroga alle norme imperative da parte di una norma di legge (o, deve ritenersi, di rango comunitario ad effetti diretti all’interno dell’ordinamento interno), come non esercitabile in deroga ad esse.

Solo in questo senso e nei limiti ora detti si intende condividere l’affermazione di Cons. Stato, VI Sezione, 11 novembre 2008, n. 5622 circa l’esegesi del potere di normazione di cui all’art. 2 comma 12, lett. h), che, invece, quel consesso parrebbe avere inteso come riferita ad ogni norma di legge.

5.6. Sciogliendo la riserva espressa poca sopra, il collegio ritiene, inoltre, che la stessa possibilità di deroga a norma di legge meramente dispositive sia, però, da restringere sotto il profilo funzionale in senso unidirezionale, cioè sia limitata ad una deroga a favore dell’utente o del consumatore. Lo impone sempre il precetto espresso nel comma 1 dell’art. 1 della legge di settore in precedenza ricordato circa il necessario indirizzarsi dell’attività dell’Autorità a tutela degli interessi adi utenti e consumatori. Ciò, naturalmente, come l’eccezione che vi sia una norma di legge o di rango comunitario ad efficacia diretta che abiliti anche alla deroga a norme imperative.

Sicché il principio diretto che può affermarsi è il seguente: “ il potere normativo secondario (o, secondo una possibile qualificazione alternativa, di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ai sensi dell’art. 2 comma 2, lettera h), si può concretare anche nella previsione di prescrizioni che, attraverso l’integrazione del regolamento di servizio, di cui al comma 37 dello stesso art. 2, possono in via riflessa integrare, ai sensi dell’art.1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali pendenti anche in senso derogatorio di norme di legge, ma alla duplice condizione che queste ultime siano meramente dispositive e, dunque, derogabili dalle stesse parti, e che la deroga venga comunque fatta dall’Autorità a tutela dell’interesse dell’utente o consumatore, restando, invece, esclusa – salvo che una previsione speciale di legge o di una fonte comunitaria ad efficacia diretta – non la consenta – la deroga a norme di legge di contenuto imperativo e al deroga a norma di legge dispositive a sfavore dell’utente e consumatore”.

5.7. Può passarsi a questo punto a definire le condizioni in presenza delle quali la normazione o l’atto di esercizio di poteri amministrativi precettivi a contenuto collettivo ai sensi dell’art. 21 comma 12 lett. h), con i limiti indicati , può integrare, attraverso la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizi, i contratti di utenza individuale.

Tale definizione deve partire dal dato che il potere di normazione o di amministrazione de quo è qualificato con un’espressione, quella di direttiva, che si presta a comprendere: a) l’imposizione di precetti al destinatario sub specie di indicazione di un risultato da raggiungere, se del caso con o senza assegnazione di un limite di tempo, salva al individuazione da parte di esso de modo con cui pervenire al risultato, ch’egli, dunque può in sostanza poi scegliere; b) l’imposizione di un precetto che non lasci al destinatario alcuna possibilità di scelta sui tempi e sui modi.

Ebbene, l’idoneità della direttiva a determinare, tramite la mediazione dell’integrazione del regolamento di servizio, l’integrazione dei contratti di utenza per al via dell’art. 1339 cc è configurabile soltanto nel secondo caso.